Viva il congresso della Cdu
Nel dopo Merkel si parla solo di Merkel, a partire dai suoi successori. Ma in gioco non ci sono soltanto persone (e vendette), c’è una grande visione, con la tenda larga
Gli applausi sono tutti per lui, il nemico che ritorna, che vuol prendersi quel che resta del banchetto organizzato in sua assenza e trasformarlo in una nuova festa, in una nuova vita: Friedrich Merz è il più popolare tra i candidati alla successione di Angela Merkel, i suoi sostenitori lo chiamano enfatici “Federico il Grande”, per mostrare quanto lui sia combattivo e carismatico, una botta di coraggio dopo una stagione lunga (e felice) di calcoli e cautela. Merz è “l’anti Merkel” e chi va cercando un segnale di cambiamento dopo il regno merkeliano – diciotto anni alla guida dei cristianodemocratici, tredici da cancelliera della Repubblica federale – vede in lui la risposta, e non guasta il suo scontro diretto con la Merkel, avvenuto molti anni fa ma vivissimo nella memoria dell’uomo e del partito: Merz è fatto apposta per dimostrare che di vendetta si può pure rinascere.
Allora, all’inizio degli anni Duemila, Merz non capì nulla, e l’unica sua consolazione è che assieme a lui c’erano molti altri: la scienziata con il caschetto venuta dall’est sembrava la classica figura di passaggio e di transizione, e di stelle nascenti ce n’erano molte (tra cui lo stesso Merz). Sottovalutare la Merkel: che errore. Finì male per Merz come per tutti gli aspiranti, la futura cancelliera in quella sua prima fase politica era brutale, tutto quel che le pareva un pericolo o un potenziale politico lo spazzava via, senza nemmeno la cortesia di un sorriso (la delicatezza è arrivata tempo dopo). Nel 2009 Merz abbandonò la politica, si buttò nel mondo del business, diventando un manager capace e facoltoso, ma continuando a sperare in un ritorno politico.
Il più applaudito tra i candidati alla leadership dei cristianodemocratici tedeschi è Friedrich Merz, il più ostile alla cancelliera
Le dimissioni della Merkel da capo della Cdu hanno offerto l’occasione giusta: al congresso ad Amburgo che si apre domani si deciderà il nuovo leader, che potrà essere anche il prossimo candidato alla cancelleria, tra quattro anni se la Merkel non decide di lasciare prima. A sostenere Merz c’è un peso massimo come Wolfgang Schaüble, ex ministro delle Finanze, un conservatore austero che ha gestito con grande abilità la coabitazione con la Merkel ma che non ha mai apprezzato l’afflato liberale e aperturista della cancelliera. L’endorsement di Schaüble dà una nuova, per quanto prevedibile, sfumatura allo scontro in atto, perché i partiti sono come delle famiglie, e si nutrono di legami e di rotture, di cene collettive e incontri privati, di tregue e di minacce. Così i milleuno delegati cristianodemocratici che domani decideranno chi è il loro prossimo leader si trovano di fronte a una scelta che mette insieme la propria storia, le proprie evoluzioni – la Cdu è cambiata tanto con la Merkel – i tempi di questa legislatura e la propria identità.
Tutto parla di Merkel, come è naturale che sia dopo tanti anni di leadership, e i candidati non sono mai raccontati per quello che sono, ma per come sono in rapporto alla cancelliera e alla sua enorme, controversa eredità. L’anti Merkel è Merz, il vendicatore che vuole riportare il partito nel suo alveo tradizionale, meno centrista, meno aperto all’immigrazione, più austero e rigoroso, e che è ricco, ha gli aerei privati e questi dettagli rendono il confronto con la Merkel ancora più netto, lei che è frugale e cucina la zuppa di patate a suo marito, lei che quando vuole vincere le elezioni usa una carezza: guardate come stiamo bene, l’antideclinismo fatto leader, la promessa occhi negli occhi, andrà tutto bene.
La Cdu dovrà decidere se presidiare lo spazio grande che ha occupato o se ritornare dov’era prima della sbornia centrista
Se Merz dovesse avere la meglio nella contesa, la Merkel potrebbe decidere di non arrivare a fine legislatura: questa ultima battaglia, che è cominciata con la candidatura al quarto mandato che lei non voleva del tutto, è molto faticosa. La formazione del governo è stata lunga, il governo è litigioso, le regionali sanno sempre più di disamore, anche un leader della Cdu ostile potrebbe essere troppo.
Per questo, per garantirsi un’uscita di scena morbida, organizzata, calcolata, cioè merkeliana, la favorita della cancelliera e anche quella che raccoglie maggiori consensi tra i delegati (non riceve applausi, ma è più affidabile) è Annegrette Kramp-Karrenbauer, soprannominata Akk, che è considerata una “mini Merkel”. Come è facile intuire, la Akk detesta quel “mini” e cerca in ogni modo di strapparselo di dosso, ponendosi non come un’emanazione della Merkel ma come una rivale credibile di un tipo come Merz: la sua massima forza è la Merkel, ma a nessuno piace essere una versione mini di qualcun altro, foss’anche una tosta come la cancelliera. “Ci sono somiglianze con la Merkel – dice la Akk – così come ci sono delle divergenze, e io mostro tutto nel modo più autentico e genuino possibile, senza creare separazioni artificiali perché questo ha molto a che fare con quello che sono e con il mio approccio alle cose”.
Fin dall’inizio la favorita è Kramp-Karrenbauer, che cerca di strapparsi di dosso la più frustrante delle etichette: è la “mini” Merkel
Vicinissime ma un pochino lontane: il “mini” non si stacca, non c’è modo, ma la Akk ha trovato qualche margine di autonomia, perché ha alle spalle una carriera politica lunga e in proprio (nel Saarland) che il suo rivale Merz non ha e perché è più conservatrice della Merkel, più dura sull’immigrazione e sulle riforme economico-fiscali. La big-tent merkeliana, che è la sua creatura politica più forte, perché ha consolidato il potere dei cristianodemocratici e annichilito quello degli altri partiti, potrebbe non uscire intatta da questa transizione: forse soltanto la Merkel è in grado di tenerla in piedi, ma nessuno in ogni caso ha intenzione di farlo.
Non Merz certamente, che anzi ambisce al più pericoloso dei giochi, cioè andare a recuperare i voti a destra, quelli che negli ultimi anni sono finiti all’Alternative für Deutschland: l’esperimento per ora non è riuscito a nessuno, nemmeno alla Csu cugina, che anzi in questa rincorsa scellerata ha perso molto del suo elettorato, come s’è visto alle scorse elezioni in Baviera. Non riesce nemmeno a livello europeo, benché ci siano tanti tentativi e benché il Partito popolare europeo, la famiglia allargata dei conservatori, continui a vivere nell’illusione che si possa trovare un equilibrio. Per ora il cannibalismo funziona nel senso opposto: i populisti mangiano chi gli corre dietro. Però Merz pensa che un riposizionamento conservatore potrebbe già di per sé riaccompagnare nella casa della Cdu chi se n’è andato in opposizione alla spinta liberale e centrista della Merkel, tutto il resto sarebbe un di più.
Dalla scelta di domani dei 1001 delegati dipendono anche i tempi della fuoriuscita della cancelliera. Ma c’è un errore da non fare
La pensa come lui il terzo candidato al congresso, il ministro Jens Spahn, il giovanissimo (è del 1980), che in questi anni è sembrato il più pericoloso e il più determinato perché attorno a lui si è raccolta la famiglia dei boicottatori della cancelliera e ha cercato il suo affondo che non è mai arrivato. Invece oggi Spahn appare come il più innocuo: per quanto la questione identitaria della Cdu sia ancora tutta da risolvere, in base ai sondaggi e all’umore del congresso pare quasi certo che a traghettare il partito oltre il merkelismo sarà un leader della generazione della Merkel. Tutto parla ancora e soltanto di lei, e i primi passi saranno per lo più un confronto, non soltanto per i cristianodemocratici ma anche per i tedeschi e soprattutto per noi europei. Ora gli antimerkeliani contano su una sua dipartita veloce, non c’è bersaglio più quotato della cancelliera, ma i passi per i rimpianti sono sempre cortissimi. Sarà tutto un confronto, come era e come sarà, e sottovalutare la potenza di quel che Merkel sarà dopo, nel riflesso del suo partito, nel riflesso del merkelismo sul mondo, quello sarà ancora una volta, diciotto anni dopo, l’errore da non commettere.
Dalle piazze ai palazzi