I popolari europei a caccia del loro equilibrio. Uno studio
L'idea di un centro-destra prudente e pragmatico che esce dalla logica “Più Europa-Meno Europa”
Roma. Se c’erano dubbi sullo spostamento a destra dei popolari europei li fuga No Robots, uno studio di tre tra i maggiori think tank legati ai cristianodemocratici, dedicato alla situazione della classe media in nove paesi dell’Unione europea. Lo studio, che vuole offrire spunti di riflessione al fronte conservatore in vista delle prossime elezioni, è frutto del lavoro dei ricercatori del Wi (il centro studi della Cda olandese), del Martens Center (Ppe) e della Fondazione Adenauer, il braccio pensante della Cdu tedesca.
Le sue conclusioni rimandano a un europeismo prudente e a-ideologico, un europeismo pragmatico tutto rivolto a dare soluzione ai problemi concreti della famiglia media, un tempo fedele ai valori popolari e oggi catturata dalle sirene populiste: lo studio propone infine di uscire dalla logica “Più Europa-Meno Europa” avviando un dibattito sul futuro dell’Unione con l’obiettivo di fare chiarezza sul ruolo e le responsabilità rispettive del livello sovranazionale rappresentato dall’Ue e di quello nazionale dei paesi membri.
In questo lavoro c’è molto della destra della Cdu, quella che è stata la spina nel fianco di Angela Merkel dal 2015, e dei paesi nordici della così detta Lega Anseatica. Il punto di partenza è la considerazione che la crisi della classe media non è tanto di origine economica, ma è soprattutto legata al clima delle aspettative, al disagio profondo causato dal cambiamento economico sociale. La Grande Crisi non ha sostanzialmente intaccato il reddito medio né accresciuto in misura significativa le disuguaglianze; anzi, i dati corretti per la dimensione familiare mostrano che il reddito medio è salito ovunque (uniche eccezioni Italia e Irlanda).
Anche la dimensione del ceto medio non è diminuita, anche se in alcuni paesi come il nostro è cambiata la sua composizione, con uno spostamento dalla componente dei produttori a quella dei percettori di rendite legate al settore pubblico, che spiega in parte lo statalismo gialloverde. Ma la caduta del valore delle case, la polarizzazione e il dualismo crescenti del mercato del lavoro (tra lavoratori skilled e non skilled, tra giovani e anziani) e la minore mobilità sociale in alcuni membri (ancora l’Italia e altri) hanno alterato il clima di fiducia e condotto a una “percezione di povertà”.
No Robots rivela che da un terzo a metà della popolazione dei paesi esaminati pensa che i figli avranno una vita peggiore dei padri. Può sorprendere, ma tra le cause del fenomeno qui cade anche l’integrazione economica, oltre all’immigrazione, alla globalizzazione e ai mutamenti tecnologici. Secondo No Robots ogni passo avanti in direzione di una maggiore apertura provoca accanto a benefici economici un “costo mentale” in termini di insicurezza e sfiducia verso il futuro che talvolta supera i benefici attesi. A sei mesi dalle elezioni, che molti vivono forse esagerando come una specie di referendum sull’Europa, l’impressione è che i popolari, o perlomeno i loro pensatoi, cerchino di frenare con spirito pragmatico sul tema dell’integrazione economica e dell’allargamento dell’area di intervento della Unione.
“Il fondamento di una unione politica non sta tanto nel gonfiamento del bilancio comune o in una maggiore centralizzazione delle competenze – affermano i ricercatori del Ppe – La sfida che l’Europa ha davanti oggi consiste in una operazione di manutenzione delle istituzioni europee che porti ad irrobustire il principio di sussidiarietà definendo bene il confine oltre il quale le istituzioni sovranazionali non possono andare, perché questo è ciò che chiedono i cittadini”. La cornice è quella di sempre, vale a dire l’Economia sociale di mercato, l’Ordoliberalismo tedesco racchiuso nel motto “libero mercato dentro uno stato forte” di Alexander Rustow. Ma l’accento oggi è maggiore sul concetto di stato forte.
In un Focus collaterale dedicato alle “Priorità per le elezioni del 2019 e oltre” il Martens Centre afferma che “il tempo per celebrare i fasti del passato è finito”. Per recuperare il voto della classe media nel maggio 2019 “occorre chiudere il gap tra la retorica della flessibilità e dell’economia digital driven e la realtà di ogni giorno della famiglia tipo, due redditi, due figli e un futuro diventato meno sicuro”. I problemi appunto su cui fa leva la “politica della paura” dei populisti.