Se il piano May per la Brexit è sconfitto, Londra non ha un piano B
La premier ha tutti i numeri contro di lei. Potrebbe chiedere una proroga per cercare soluzioni, ma non è detto che l’Ue accetti
Roma. Cosa dirà la premier britannica Theresa May ai suoi colleghi europei durante il vertice programmato per giovedì 13 dicembre? L’accordo sulla Brexit probabilmente verrà respinto dal Parlamento britannico martedì prossimo, molti giornali lo danno per scontato. Dietro le quinte la premier cerca di persuadere i deputati ancora in bilico, ma non ha più carte da giocare. L’intesa non si può cambiare, e le promesse di un’eventuale promozione o di un nuovo incarico non convincono i backbenchers.
La partita è troppo importante, e i ribelli sono ovunque: tra le file degli euroscettici e anche degli europeisti, tra gli amici e tra i nemici della May. Lo Spectator ne ha contati 105. La premier cerca di contenere i danni: ha inviato 30 membri del governo in ogni angolo della Gran Bretagna per promuovere il suo accordo. Il tempo stringe e il capogruppo dei tories, Julian Smith, cerca di persuadere i ribelli conservatori, con scarsi risultati. Le truppe televisive di Itv hanno filmato la sua goffa opera di convincimento. Il capogruppo spiega le ragioni dell’accordo al deputato brexiteer conservatore Philip Davies che però non arretra di un centimetro.
Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno reso ancora più debole la premier: il Dup, il partito unionista nordirlandese alleato della May, ha promesso di votare contro un’eventuale mozione di sfiducia in caso di bocciatura dell’accordo. Così l’avversario più accanito dell’intesa della premier cerca di confortare i brexiteers più timorosi: niente paura, votate pure contro l’accordo tanto la May resterà premier. Non c’è il rischio di un governo Corbyn.
Sia i brexiteers sia i remainers non digeriscono il backstop, un regolamento a tempo per tutelare il commercio tra le due Irlande in caso di mancato accordo tra Londra e Bruxelles. La May ha promesso di convocare un voto parlamentare sul backstop prima che entri in vigore, il 31 dicembre 2020. Un’ipotesi affascinante ma irrealizzabile. Maria Demertzis, vice direttore del think tank Bruegel, spiega al Foglio che “il backstop è l’architrave del negoziato. Se il Parlamento lo bocciasse, si tornerebbe al punto di partenza. Bruxelles non rischierebbe un hard border tra le due Irlande”.
La May dovrà cercare una via di uscita, in caso di bocciatura. La soluzione più semplice è chiedere una proroga all’Ue e guadagnare tempo per cercare una nuova soluzione. Questo lo chiedono in molti, però ci sono due ostacoli. La May ha promesso agli elettori che l’uscita dall’Ue sarebbe avvenuta il 29 marzo 2019, è stato uno slogan ripetuto negli ultimi due anni. L’Ue ha già detto di non essere disposta a riaprire i negoziati. Lo hanno ripetuto i vertici di Bruxelles e i capi di stato, per una volta uniti sulla stessa linea. Demertzis spiega che “trovare un nuovo accordo è quasi impossibile. È più facile cambiare la Dichiarazione politica, un testo per ora molto vago di 26 pagine che delinea i rapporti a lungo termine tra Londra e Bruxelles”.
L’alternativa del leader laburista Jeremy Corbyn è altrettanto azzardata: sfiduciare la May, vincere nuove elezioni e negoziare un nuovo accordo. Il problema è sempre lo stesso: l’Ue accetterebbe di riaprire la trattativa? “Secondo me no, perché l’accordo c’è già – spiega Demertzis – Bruxelles lo rimetterebbe in gioco solo se un nuovo governo si impegnasse a restare nell’Ue. Però in quel caso non ci sarebbe più la Brexit. E questo scenario è comunque molto improbabile”. Nessuno sa cosa succederà dopo martedì, forse nemmeno la May. Bisognerà vivere alla giornata, e aspettare una mossa dell’avversario. Solo allora potranno aprirsi scenari nuovi e inaspettati.