Il 28 maggio 2015, Maduro stringe la mano al presidente di Rosneft, Igor Sechin (foto LaPresse)

Il venezuelano Maduro s'aggrappa al patto “oil for cash” con Putin

Maurizio Stefanini

Mosca intasca asset energetici chiave in cambio di un soccorso in contanti. Nel contesto di Caracas la combinazione tra attivismo putiniano e assenteismo trumpiano rischia di determinare conseguenze imprevedibili

Roma. “In Venezuela la Russia intasca asset energetici chiave in cambio di un soccorso in contanti”, titola il Washington Post. A firma del corrispondente dall’America Latina Anthony Faiola e del Premio Pulitzer Karen DeYoung, l’articolo ricorda come Mosca nell’ultimo decennio si sia impadronita di almeno cinque pozzi di petrolio in Venezuela, oltre che della produzione di due grandi giacimenti di gas naturale nel Mar dei Caraibi per i prossimi 30 anni. Come garanzia dell’accordo con la compagnia petrolifera Rosneft e in cambio di un miliardo e mezzo di dollari, la Russia avrebbe ottenuto anche il 49,9 per cento di Citgo: impresa di stato venezuelana che possiede tre raffinerie, una rete di gasdotti e quasi 6000 stazioni di servizio, tutte dislocate sul territorio americano. La Russia, oltre ad aiutare il regime di Maduro a lanciare il petro – la criptomoneta in cui il regime venezuelano spera per controbattere l’inflazione e con cui ha anche iniziato a pagare le pensioni –, continua ad assicurare al paese delle forniture militari alle quali si sta aggiungendo anche un impegno diretto. Dopo che il 6 dicembre Maduro in visita a Mosca aveva annunciato investimenti russi in Venezuela per 6 miliardi di dollari e una commessa da 600.000 di tonnellate di grano, il 10 dicembre ha visto arrivare soltanto un centinaio di militari russi con quattro aerei, atterrati in Venezuela per fare manovre militari congiunte. Due bombardieri Tupolev Tu-10 con capacità nucleare hanno volato assieme a un Su-30 e a un F-16 venezuelani.

   

L’Assemblea nazionale venezuelana, in mano all’opposizione ma esautorata del suo potere, ha avviato un’inchiesta per verificare se sull’isola di La Orchila, sorvolata da due Tupolev, sia stata aperta una base militare russa. Il numero due del regime Diosdado Cabello ha smentito, aggiungendo: “Magari!”. Nel frattempo, però, anche l’Iran ha annunciato l’intenzione di mandare in Venezuela due o tre fregate porta-elicotteri. E prima di arrivare a Mosca, Maduro era passato per la Turchia, doveva aveva firmato con Erdoğgan accordi per altri 5,1 miliardi di dollari. Secondo i giornalisti del Washington Post, il Cremlino in America Latina si starebbe inserendo nel “vuoto” creato dalla politica di Trump. Sempre come conseguenza dello stesso vuoto, dell’assenza degli Stati Uniti, scrive il Washington Post, “dopo la recente riunione del G20 a Buenos Aires, a cui hanno assistito sia Trump sia Putin, è stato il presidente russo – criticato dalle potenze occidentali durante il vertice per il suo conflitto in Ucraina – e non quello statunitense a rimanere in Argentina per un incontro bilaterale con il presidente Mauricio Macri. Entrambi i governi, che già avevano firmato un accordo di cooperazione strategica, hanno delineato un nuovo patto sull’energia nucleare”.

 

Nel particolare contesto di Caracas la combinazione tra attivismo putiniano e assentesimo trumpiano rischia di determinare delle conseguenze imprevedibili. Il 10 gennaio Maduro si insedierà di nuovo alla presidenza dopo elezioni di cui la gran parte della comunità internazionale contesta la legittimità. Mentre vengono convocate nuove proteste Antonio Ledezma, il sindaco di Caracas destituito e costretto all’esilio che è stato tra gli insigniti del Premio Sakharov a nome dell’opposizione venezuelana, ha chiesto via Twitter di installare il 5 gennaio “un governo di transizione che copra il vuoto di potere prodotto dall’illegittimità di Maduro”. “È potestà della Assemblea nazionale – ha scritto il dissidente –, e la cittadinanza, la Forza armata democratica e la comunità internazionale devono sostenerla”. Nel frattempo l’opposizione venezuelana ha annunciato un Piano Marshall per il dopo-Maduro.

  

Dopo 20 anni di chavismo e 6 di recessione in cui il Venezuela ha perso il 52 per cento del pil, 4 milioni di cittadini sono emigrati e l’inflazione ha oltrepassato il mille per cento, per recuperare in tempi rapidi si punta su un finanziamento internazionale e sul recupero della produzione petrolifera, col ritorno della domanda e del gettito fiscale; ma anche su una legge per il recupero dei miliardi portati all’estero dai gerarchi del regime. Ci sono poi cinque detentori di bond in scadenza nel 2034 che hanno deciso di denunciare il governo venezuelano perché non paga gli interessi: solo quest'anno 140 milioni di dollari, su un debito in bond che ha oltrepassato i 60 miliardi di dollari.

 

A Capodanno in Brasile si insedierà Jair Bolsonaro, che ha deciso di non invitare Maduro alla cerimonia. Il generale Hamilton Mourão, suo vicepresidente, prevede che ci sarà presto un golpe in Venezuela e ha detto che il ruolo delle truppe brasiliane sarà quello di peace-keeping. Maduro ha risposto esortando le sue Forze armate a prepararsi ad “attaccare” Colombia e Brasile, e sta cercando di rafforzare le milizie bolivariane, di dubbia efficienza. Non gli resta che sperare nell’appoggio di Putin, per il quale poter stabilire una base avanzata nel cuore dell’emisfero occidentale rappresenta, secondo il Washington Post, “un trionfo strategico”.

Di più su questi argomenti: