In Sudan c'è una rivolta (che sa di pane) contro il trentennio di Bashir
L'economia arranca: l’inflazione è al 70 per cento e ci sono code ai distributori. Il rais chiude scuole, università e arresta i leader dell'opposizione
Milano. A innescare la protesta è stato l’aumento del prezzo del pane. Gli slogan che da oltre una settimana sono scanditi da manifestanti in diverse città del Sudan sono però diretti contro i quasi trent’anni di regime del presidente Omar al Bashir, il suo regime, la sua politica. I video postati sui social network mostrano la polizia sudanese che lancia lacrimogeni per disperdere centinaia di persone che il 25 dicembre hanno cercato di marciare verso il palazzo presidenziale, chiedendo “libertà” e ripetendo cori – “il popolo vuole la caduta del regime” – molto simili a quelli delle rivolte arabe del 2011.
La manifestazione di martedì nella capitale Khartoum è arrivata dopo giorni di dissenso in diverse città del Sudan, paese prevalentemente arabo e musulmano di 40 milioni di abitanti. Le proteste sarebbero partite dalla città di Atbara, nel nord-est, e non a caso: in passato importante centro ferroviario, è storicamente il luogo di origine dei movimenti sindacali sudanesi. A organizzare la protesta di queste ore è un ombrello di sigle sindacali e professionali. Lunedì hanno manifestato i medici, ma a scendere in strada ci sono anche professori universitari, avvocati, giornalisti.
Se, come accaduto anche per le rivolte arabe del 2011, a innescare il dissenso è stata la difficile situazione economica – un’inflazione che a novembre ha toccato il 70 per cento, mancanza di carburante, una crisi di liquidità che causa lunghe file ai distributori automatici – l’obiettivo della protesta è molto politico. Le sigle sindacali, sostenute da gruppi politici tradizionali come il partito Unionista Democratico e il partito Umma, hanno fatto circolare una petizione che chiede le dimissioni del presidente Bashir e la creazione di un governo di tecnocrati capace di portare il paese fuori dalla crisi economica. La leadership ha promesso lunedì “riforme” per “garantire ai cittadini una vita dignitosa”, ma il governo non convince a causa di decenni di corruzione e cattiva gestione delle risorse.
Il rais ha fatto ricorso in queste ora a un copione già utilizzato da dittatori passati attraverso la minaccia della piazza: ha chiuso scuole e università per indebolire la protesta, sono state riportate difficoltà di accesso ai social media, televisioni e giornali locali non hanno praticamente dato la notizia delle manifestazioni di questi giorni. Le autorità hanno arrestato decine di leader dell’opposizione, Amnesty International ha contato 37 persone uccise durante le proteste, anche se non esistono ancora numeri certi.
Il presidente Bashir è un autocrate a capo di un governo militare. È al potere da quasi tre decenni, ed è arrivato a palazzo attraverso un colpo di stato, nel 1989. Da anni, è ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e genocidio legati al conflitto in corso nella regione occidentale del Darfur dal 2003. Davanti alle manifestazioni, ha parlato di “traditori” e “mercenari”, e ha dato la colpa della pessima situazione economica ad anni di sanzioni straniere, ai “nemici del Sudan” più che all’incapacità del suo governo di proporre riforme, gestire le risorse e trovare soluzioni.
Gli Stati Uniti – per i quali il Sudan resta sulla lista delle nazioni sponsor del terrorismo – hanno cancellato le misure economiche contro Khartoum soltanto nel 2017. Oltre a 20 anni di pesanti misure economiche, alla corruzione e alla cattiva gestione della leadership, a provare l’economia nazionale è stata anche la perdita di oltre tre quarti della produzione di greggio quando nel 2011, dopo una lunga guerra civile, il Sud Sudan prevalentemente cristiano e animista ha dichiarato la propria indipendenza da Khartoum.
All’inizio dell’estate, una delegazione del Fondo monetario internazionale è sbarcata a Khartoum per discutere con le autorità locali la possibilità di un prestito, non ancora finalizzato. Il governo ha nel frattempo varato misure di austerità e cancellato i sussidi su grano, frumento e farine. La crisi economica e la nuova era di austerità che negli anni e mesi passati ha toccato medio oriente e Nordafrica ha costretto diversi regimi a incrinare il fragile equilibrio legato ai sussidi: accade dalla Giordania all’Algeria passando per l’Egitto. E proprio l’Egitto, negli anni ’70, quando l’allora presidente Anwar el Sadat cancellò i sussidi per il pane, ha fatto per primo le spese di quello che significhi politicamente infrangere quel tabù in regimi abituati a comperare la pace sociale. Nel 1977, dopo giorni di rivolta e 79 morti, il rais fu costretto a un passo indietro, e reintrodusse i finanziamenti, in parte presenti ancora oggi.
Non è la prima volta che in Sudan il potere di Omar al Bashir è messo in discussione da proteste di piazza. Quando nel 2013 le autorità cancellarono i sussidi sul carburante, la popolazione scese in strada nella capitale. Secondo il governo, negli scontri con la polizia morirono decine di civili, centinaia secondo le opposizioni. A differenza di allora, però, le manifestazioni di questi giorni non coinvolgono soltanto Khartoum: sono diffuse in diverse città del paese.