Uno scoop americano riaccende la luce sullo scabroso dossier Trump
L'avvocato del presidente aveva sempre smentito di avere incontrato i russi a Praga, ma ora ci sono le prove
New York. Persino i fan più sfegatati dell’inchiesta contro il presidente americano Donald Trump in questi due anni si sono tenuti cautamente lontani dal cosiddetto dossier Steele, il documento riservato scritto dall’ex capo della sezione di Mosca dell’intelligence britannica, Christopher Steele, fra il gennaio e il dicembre 2016. Steele, in pensione, era stato assoldato per rianimare i suoi vecchi contatti e scoprire se c’era collusione fra l’allora candidato Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin. Il dossier era uscito in pubblico nel gennaio 2017, a soltanto dieci giorni dal giuramento, e conteneva dettagli orrendi e mai confermati – come per esempio il fatto che i russi abbiano video compromettenti di Trump.
Il dossier è rimasto nel limbo delle faccende mai chiarite, ma due giorni fa l’agenzia McClatchy di Washington ha scritto che secondo quattro sue fonti il telefonino di Michael Cohen, l’avvocato di Trump, ha agganciato la rete telefonica di Praga nell’estate 2016. Tutti hanno subito pensato a una delle trentatré pagine del dossier in cui si diceva che Cohen avesse fatto un viaggio in incognito a Praga per prendere contatto con agenti del governo russo. Tra le cose di cui Cohen avrebbe parlato con i russi c’era anche la disponibilità a pagare per il lavoro degli hacker russi che avevano violato le mail della campagna di Hillary Clinton e quindi anche di come fare i pagamenti senza lasciare tracce, o meglio di come nasconderli in altre forme. L’avvocato aveva sempre negato questa circostanza, ma ora il pezzo di McClatchy riapre tutto, anche se per ora non si conosce il contenuto delle chiamate: se Cohen è stato davvero a Praga, allora il dossier è più credibile di quanto pensiamo?
È chiaro che se saltasse fuori che Cohen è stato davvero a Praga per discutere di come pagare gli hacker russi che hanno interferito nella campagna presidenziale ci sarebbe uno tsunami politico in America. In questo momento c’è un’indagine del procuratore speciale Robert Mueller per accertare se c’è stata collusione tra Trump e i russi, che dovrebbe produrre un rapporto entro un mese circa. Cohen è stato arrestato il 21 agosto e da allora collabora con gli investigatori, inclusi quelli di Mueller, ed è stato attaccato da Trump in un tweet – lo ha chiamato “rat”, ratto. Il rapporto del procuratore speciale in teoria non sarà pubblico e dovrà essere consegnato al dipartimento di Giustizia, ma la nuova Camera a maggioranza democratica potrà ottenerlo molto in fretta e quindi potrà farne uscire il contenuto.
Secondo l’articolo, nello stesso periodo in cui il telefonino dell’avvocato agganciava la rete di Praga una non meglio specificata agenzia d’intelligence di un paese dell’est (Repubblica ceca forse?) intercettò una comunicazione fra spie russe in cui dicevano che Cohen si trovava a Praga. Ma la faccenda non è ancora per nulla chiara. Cohen due giorni fa ha negato di essere stato a Praga e considerato che ora è un collaboratore non si vede perché dovrebbe tacere su un’informazione che potrebbe garantirgli un patteggiamento d’oro (e che viceversa lo manderebbe in galera se continuasse a smentire pur essendo vera). “Mueller sa tutto”, ha detto, come se questa fosse una spiegazione sufficiente. Inoltre non si capisce come avrebbe fatto Cohen a viaggiare da New York a Praga e ritorno senza lasciare traccia della sua partenza e del suo arrivo alla dogana e un timbro sul suo passaporto, come succede a tutti. Trump ha definito il dossier Steele “un cumulo di spazzatura”.