Le ansie e i dolori della Romania alle prese con un semestre europeo epocale
“Non sei in grado”, le dicevano gli altri paesi membri. I dolori e i preparativi di Bucarest per quei 181 giorni che ci diranno chi siamo
Roma. La Romania voleva arrivare pronta, nonostante tutto, alla presidenza del semestre europeo. Per essere degna di questa famiglia numerosa e turbolenta aveva fatto qualsiasi cosa e i suoi primi anni dentro l’Europa sono stati caratterizzati da continue iniziative per promuovere i valori europei e dalla lotta contro la corruzione, era questo che soprattutto stava a cuore a Bruxelles: che Bucarest risolvesse i problemi legati alla politica e alla poca trasparenza. Le autorità anticorruzione hanno svolto il loro lavoro con precisione, hanno condannato diverse migliaia di deputati, di esponenti di qualsiasi partito, personalità grandi e piccole.
A capo di tanta solerzia c’era Laura Codruta Kovesi, procuratore capo, ormai ex, della Direzione nazionale anticorruzione, Dna. Ma poi, nel 2016, la volontà politica di cambiare, di adempiere a quelle promesse che la Romania aveva fatto all’Europa con il suo ingresso nel 2007, hanno iniziato ad affievolirsi con il successo del Partito socialdemocratico, il Psd, alle elezioni parlamentari. Così Bucarest sta arrivando alla sua presidenza del semestre europeo con poca fiducia da parte di Bruxelles e molti problemi in patria che inquietano la Commissione europea.
Nonostante tutto, il primo gennaio, la Romania assumerà ufficialmente la presidenza e “non preoccupatevi dei nostri problemi domestici”, ha detto Viorica Dancila, primo ministro romeno, incontrando Jean-Claude Juncker a inizio dicembre. In molti ne dubitano, questo 2018, complicato per tutti, è stato particolarmente tormentato non soltanto a casa, in Romania, ma ha anche peggiorato i rapporti tra Bucarest e Bruxelles, soprattutto dopo il licenziamento della Kovesi. L’ex capo della Dna era anche stata inserita da Politico nella lista delle persone che più stavano contribuendo alla causa europea. A inizio luglio è stata rimossa dal presidente Klaus Iohannis dopo un lungo scontro con il ministro della Giustizia, Tudorel Toader, che l’aveva accusata di aver mancato di rispetto all’autorità del Parlamento. In realtà, hanno voluto puntualizzare alcuni osservatori, il ministro del Psd aveva un conto in sospeso con la Kovesi, con le sue indagini apprezzate molto in Europa e meno dai politici locali.
Dopo il licenziamento i romeni, soprattutto giovani, soprattutto residenti all’estero, avevano organizzato delle grandi manifestazioni che si sono concluse con oltre quattrocento feriti e con l’appellativo di “Romania, Nicaragua d’Europa” che alcuni sociologi hanno dato alla nazione. Poi il referendum per ridefinire il concetto di famiglia, voluto dal Partito socialdemocratico, votato in ottobre e perso per mancanza del quorum; infine, a novembre, le dimissioni proprio dell’uomo che avrebbe dovuto preparare la nazione alla guida del semestre, Viktor Negrescu, il ministro degli Affari europei, che ha lasciato l’incarico perché non sosteneva più le critiche che il suo partito gli muoveva. “Non possiamo farcela – aveva detto un mese fa il presidente Klaus Iohannis – Non siamo pronti”.
Iohannis è un conservatore in aperta opposizione con il governo del Psd che lui definisce “un incidente della democrazia romena”. “Non siamo pronti”, aveva detto. “Siamo usciti dai binari”, aveva sottolineato. “La situazione è fuori controllo”, aveva ripetuto. Nonostante la figura del primo ministro Viorica Dancila, la nazione è nelle mani di due uomini che si detestano politicamente e umanamente: Klaus Iohannis, il presidente, e Liviu Dragnea, il leader del Psd che ha invertito il corso dell’europeizzazione romena, bloccando le riforme e cercando di annullare la Dna, l’organo anticorruzione caro all’Ue.
Giunta, quindi, quasi alla conquista della sua presidenza che inizierà martedì, in Europa c’è molto scetticismo, nessuno, o quasi, crede che Bucarest sarà in grado di svolgere il suo ruolo: il governo accusa l’Unione di muovergli dei rimproveri “ingiusti e politicizzati” e l’Unione accusa il governo di violare lo stato di diritto. Addirittura la Finlandia, alla quale spetta la presidenza del semestre successivo, aveva suggerito alla Romania di farsi da parte, di lavorare ancora un po’ sulla sua situazione istituzionale, prendersi altri sei mesi per risolvere i suoi problemi e scambiarsi i ruoli. E il semestre romeno sarà il più complicato, tormentato e ingrato degli ultimi dieci anni.
Quando Bruxelles si risveglierà dalla pausa natalizia, si aprirà l’anno delle scelte, il 2019, con le elezioni europee a maggio, la Brexit da gestire, i sovranisti che sognano un’internazionale sovranista, ossimoro caotico. Inoltre Bucarest dovrà dialogare con delle istituzione europee nuove, diverse rispetto a quelle che conosciamo ora, non ci sarà più Antonio Tajani a capo del Parlamento, né Juncker a presiedere la Commissione. Sarà un’Europa cambiata, traghettata verso scelte cruciali da una nazione debole. La Romania non è certo un punto di riferimento, ha relazioni strette con pochi paesi membri, secondo i dati dello European Coalition Explorer, istituto di sondaggi europeo, Bucarest non è riuscita a presentarsi come partner affidabile per le altre nazioni e dovrebbe cogliere l’occasione di questa presidenza, che non inizia in un clima di fiducia, per farlo.
“Siamo ambiziosi e realistici allo stesso tempo”, ha detto in un’intervista a Politico Luminita Odobescu, ambasciatrice della Romania presso l’Ue. “Affronteremo molte sfide, lavoreremo a stretto contatto con il Regno Unito e il ruolo dell’Unione sarà quello di difendere il multilateralismo”, ha detto l’ambasciatrice spiegando che la nazione e i suoi rappresentanti hanno lavorato giorno e notte per completare i preparativi. Non si poteva tornare indietro, ma come ha notato il nuovo ministro degli Affari europei romeno, la Romania è soltanto una nazione debole in mezzo ad altre nazioni non messe bene. “Non vorrei sottolineare l’attuale situazione – ha detto Ciamba in una conferenza stampa a Bruxelles – Ma ogni paese ha una vita politica vivace”. Ed è vero: nella tormentata famiglia europea, nessuno è libero da turbamenti interni.
La Romania inizierà quindi il suo semestre, così era stato stabilito senza poter prevedere che il suo sarebbe stato un semestre epocale in cui oltre alla Brexit e alle elezioni europee di maggio, si dovrà occupare delle nuove misure sull’immigrazione e il nuovo bilancio europeo. Il problema dei futuri sei mesi, della nuova Ue che ci aspetta, non è la Romania ma questa famiglia angosciata in cui non si salva nessuno. Ci sarebbe stato bisogno di una presidenza visionaria, in grado di dominare lo scontro tra le ideologie, di unire, di dominare questa stagione complicata. La Romania ci si è trovata in mezzo, e le colpe non saranno soltanto le sue.