Alcuni attivisti laburisti con lo striscione: "Love Corbyn, Hate Brexit" (Immagini prese fa Facebook)

Perché ai militanti laburisti non piace la Brexit di Corbyn

Gregorio Sorgi

“Hate Brexit, Love Corbyn”. Gli attivisti del Labour sono europeisti, ma hanno molta fiducia in un leader euroscettico

Roma. “Hate Brexit, Love Corbyn”. Il titolo dell’ultimo sondaggio di YouGov racchiude il paradosso degli attivisti del Labour: più sono europeisti e più sono entusiasti di Jeremy Corbyn. L’equazione apparentemente non ha molto senso perché il leader laburista è un euroscettico di vecchia data e nel referendum del 2016 si è schierato timidamente a favore del Remain per salvare la sua leadership. “Durante la campagna elettorale (Jeremy Corbyn, ndr) è stato scambiato con una controfigura”, ha scherzato suo fratello Piers.

 

La posizione di Corbyn sulla Brexit non è molto diversa da quella del governo conservatore: è contrario a un secondo referendum, non vuole rimanere nel mercato unico ed è ottimista sulle prospettive della Gran Bretagna fuori dall’Ue. La differenza è che l’elettorato dei Tories è molto euroscettico, mentre quello dei laburisti è filo-europeo. Il 72 per cento degli iscritti del Labour e il 57 per cento degli elettori sono a favore del secondo referendum sulla Brexit. L’indice di gradimento di Corbyn è molto alto tra gli iscritti (65 per cento), ma piuttosto basso tra chi ha votato il Partito laburista nel 2017. Solo il 29 per cento degli iscritti ha ammesso di essere contrario alla strategia di Corbyn sulla Brexit. I numeri sono apparentemente contraddittori: gli elettori laburisti non sono d’accordo con Corbyn, ma continuano a sostenerlo.

 

Il politologo Tim Bale, uno dei membri del Party Members Project che ha commissionato la ricerca, spiega i dati al Foglio: “La Brexit non è l’unica questione importante per i laburisti. Molti di loro credono che Corbyn sia il Messia che aspettavano da tempo, e che porterà il socialismo in Gran Bretagna. Quindi sono disposti a perdonare i suoi errori – anche su una questione importante come la Brexit”. Gli attivisti del Partito laburista hanno eletto Corbyn come leader del partito nel 2015, conoscendo le sue credenziali da euroscettico, e gli hanno rinnovato la fiducia nel ballottaggio contro l’europeista Owen Smith un anno dopo.

 

Il columnist Stephen Bush offre una spiegazione interessante sul Times: la Brexit è una scelta identitaria sul futuro del paese, le istituzione europee e il mercato unico non appassionano gli elettori. Corbyn è un euroscettico sui generis: contesta le politiche dell’Ue, ma su tutto il resto – dai diritti civili al ruolo dello stato – la pensa come gli elettori laburisti. Se questo fosse vero, Corbyn non avrebbe alcun motivo di cambiare la sua posizione sulla Brexit. Secondo Bale, “il leader laburista non è diverso dagli altri politici: ha le sue idee e cerca di vincere. La sua posizione nasce dallo scetticismo verso l’Ue e dall’esigenza di conquistare il maggior numero di voti”.

 

L’ambiguità fa comodo a Corbyn, e una presa di posizione più decisa potrebbe comportare una perdita di consensi. Gli elettori sono più scettici degli iscritti sulla possibilità di un secondo referendum: solo il 57 per cento si dichiara a favore. Quindi il rischio per Corbyn è quello di perdere il restante 43 per cento, oltretutto per un’idea che smentisce tutto ciò che ha detto negli ultimi due anni. Eppure, tra poche settimane potrebbe tutto cambiare. Se l’accordo della May dovesse essere bocciato dal Parlamento, Corbyn cercherà di andare alle urne, che però restano uno scenario improbabile. A quel punto, dovrà pronunciarsi su un secondo referendum. Secondo Bale, “ci sarà una grande pressione per convocare il cosiddetto People’s Vote, ma lui farà di tutto per resistere. Probabilmente spera nel sostegno di alcuni deputati laburisti per fare passare l’accordo del governo, ma ovviamente non lo ammetterà mai”.