Un tentato golpe in Gabon è fallito
Arrestati quattro dei cinque militari che durante la notte hanno occupato la radio statale e chiamato l'esercito a prendere il controllo dello stato centroafricano. Per ora la dinastia Bongo, che governa il paese da mezzo secolo, rimane al potere
Un tentativo di golpe militare in Gabon, nazione dell'Africa centrale, è fallito. “Le cose sono ancora molto confuse, perciò non posso dire con certezza se sia un colpo di stato o un ammutinamento di un pezzo dell’esercito”, aveva spiegato a Bloomberg l'ex premier Raymond Ndong Sima, quando intorno alle 4:30 di notte alcuni ufficiali avevano sequestrato la radio statale, la Radio Television Gabonaise (Rtg) e dichiarato la loro insoddisfazione nei confronti del presidente Ali Bongo Ondimba, che si trova in un ospedale del Marocco dove si sta riprendendo da un infarto. Gli insorti invitavano l'esercito a prendere il controllo del sistema di trasporto, delle riserve di munizioni e degli aeroporti “nell'interesse della nazione”. Ma intorno alle 11 di mattina Guy-Bertrand Mapangou, un portavoce del governo del Gabon, ha dichiarato all'Afp che la situazione politica è “sotto controllo” e che quattro ribelli sono stati arrestati mentre un quinto insorto è in fuga.
Sull'iniziativa dei militari golpisti ha senz'altro pesato l'assenza dal paese del presidente Ali Bongo, oggi 59enne, e le sue precarie condizioni di salute: durante il discorso di fine anno Bongo si mangiava le parole e non riusciva a muovere il braccio destro. Questo “ha rafforzato i dubbi sulla sua capacità di continuare a svolgere le sue funzioni”, ha spiegato il tenente Kelly Ondo Obiang, leader dell'autoproclamato Movimento patriottico delle forze di sicurezza e della difesa del Gabon, nel video-messaggio diffuso durante il tentativo di golpe. Quello di Bongo è “uno spettacolo pietoso” e un “implacabile tentativo di aggrapparsi al potere”, secondo i golpisti, che sostenevano di essere intervenuti per garantire la democrazia e l’integrità territoriale del Gabon. Ma sono da tenere presenti anche le tensioni in corso nel vicino Congo dopo le recenti elezioni presidenziali – si è votato il 30 dicembre, dopo che il presidente Joseph Kabila le ha ritardate per due anni, ma la commissione che si occupa di conteggiare i voti ha posticipato la pubblicazione dei risultati, attesi per domenica 6 gennaio – tanto che la settimana scorsa gli Stati Uniti hanno inviato in Gabon un reparto scelto di 80 uomini pronti a intervenire nella Repubblica democratica del Congo nel caso dovessero scoppiare disordini.
Military coup reported in #Gabon. Video taken during announcing the first statement on the national radio. pic.twitter.com/ameep5kwmD
— Zaid Benjamin (@zaidbenjamin) 7 gennaio 2019
Le abbondanti risorse naturali e gli investimenti stranieri – soprattutto della Francia, da sempre “tutrice” e arbitro della politica del paese africano – hanno fatto del Gabon, importante produttore di petrolio, una delle nazioni più prospere del continente, anche se è governato da presidenti autocratici fin dalla sua indipendenza da Parigi e sebbene negli ultimi anni abbia dovuto affrontare diverse rivolte per i (veri o presunti) brogli elettorali. Anche la missione di osservatori dell’Unione europea ha denunciato “un’evidente anomalia” nei risultati del voto nelle ultime elezioni.
Gli esploratori francesi che ne penetrarono le dense giungle alla fine dell'Ottocento, erano alla ricerca delle sorgenti del fiume Congo. Quello che videro dovette sembrare interessante, e la Francia occupò la nazione: nel 1910 la trasformarono in uno dei quattro territori della federazione dell'Africa Equatoriale Francese, i cui territori si divisero in quattro stati indipendenti il 17 agosto 1960: Repubblica Centro Africana, Ciad, Congo e Gabon. Il primo presidente del Gabon indipendente è il filofrancese Lèon M'Ba, che fino ad allora era stato primo ministro e che desiderava, invece dell'indipendenza, che il paese diventasse un territorio francese d'oltremare. Personaggio complesso e uomo poliedrico, la cui facciata democratica non riesce a nascondere le fattezze di un dittatore, ancor prima dell'indipendenza opera arresti politici, limita le libertà individuali, manipola le elezioni e promuove un culto della sua personalità. Muore nel 1967 e viene sostituito dal suo capo di stato maggiore, Albert-Bernard Bongo, che poi cambia nome in Omar Bongo Ondimba. Da allora questo ex ufficiale dell’esercito coloniale è padrone del paese definito “Pmu”, acronimo irriverente che sta per petrolio, manganese e uranio. Mentre le imprese francesi accedono quasi in esclusiva alle risorse strategiche, Omar naviga nell'oro, tra ville in Francia e Rolls Royce.
Da allora la famiglia Bongo governa ininterrottamente il paese per quasi mezzo secolo, prima con Omar e poi con il figlio Ali, che gli succede alla sua morte, nel 2009. Ali era uno dei delfini del padre, scelto tra i suoi innumerevoli figli (anche se i nemici dicono sia adottivo) per guidare il paese alla sua scomparsa. L'elezione di Ali è il risultato di un accordo tra l'élite del Gabon e la Francia, per garantire la stabilità del regime necessaria alle compagnie petrolifere. Il Figaro ha descritto la successione come una tragedia greca – se non fosse per le palme che si affacciano sul lungomare – e come la “storia universale di una lite familiare, con la sua quota di alleanze e tradimenti, di amore e odio tra genitori e figli più o meno legittimi”. Grazie alla macchina elettorale che il padre gli ha lasciato, e con la quale ha comodamente vinto tutte le elezioni dopo l'avvento del multipartitismo nel 1990, Ali Bongo rimane saldamente al potere e nel gennaio 2018 fa approvare una riforma della Costituzione che gli garantisce il “trono” all’infinito – a scanso di eventuali golpe più fortunati di quello di lunedì notte. Oggi però i rapporti tra Parigi e LIberville sono cambiati. “Il peso delle imprese francesi in Gabon si è ridotto dal 50 al 20 per cento, mentre le materie prime hanno perso valore”, ha spiegato a Internazionale Antoine Glaser, fondatore del bimestrale La Lettre du Continent, uno dei massimi esperti in materia: “Il petrolio conviene prenderlo in Nigeria o in Angola, il manganese non è più strategico e lo sfruttamento dell’uranio è cessato del tutto”. Per Ali è un problema anche personale: a contestargli l’elezione nel 2016 è l'ex cognato, Jean Ping, già ministro degli Esteri.
Tuttavia, con il fallito colpo di stato rimane in piedi una delle ultime “grandi dinastie” africane. Al contrario di quanto avvenuto nel novembre 2017 in Zimbabwe, con le dimissioni del presidente 93enne Robert Mugabe. Ormai l'elenco dei “dinosauri africani” ancora al potere si fa piuttosto breve: rimane Paul Biya, che regge lo scettro in Camerun dal 1982, Yoweri Museveni in Uganda dal 1986, Denis Sassou Nguesso in Congo dal 1997 e il più longevo di tutti: Teodoro Obiang alla guida della Guinea Equatoriale dal 1979.
Cose dai nostri schermi