Se Kim torna a sorpresa a Pechino è perché di Trump può fare a meno
Il leader nordcoreano in visita in Cina. Con i colloqui sul nucleare in stallo, Xi Jinping manda un messaggio alla Casa Bianca
Roma. Sulla questione nordcoreana è ancora la Cina ad avere l’ultima parola. E’ questo il segnale inviato alla Casa Bianca dopo il quarto incontro a sorpresa tra il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente cinese Xi Jinping. Da una parte ci sono i colloqui sulla denuclearizzazione tra Washington e Pyongyang che sono sostanzialmente a un punto morto, dall’altra c’è la visita di Kim a Pechino che arriva nelle stesse ore in cui una delegazione americana, guidata dal vice rappresentante per il Commercio Jeffrey Gerrish, vola nella capitale cinese per inaugurare i primi round di colloqui sulla trade war. Colloqui di livello viceministeriale, anche se l’altro ieri il braccio destro del presidente, Liu He, è comparso inatteso a salutare gli ospiti americani. E tutto ruota ancora una volta intorno alle mosse di Xi Jinping, che accoglie con grandi feste a Pechino il leader nordcoreano e la “first lady” Ri Sol-ju: secondo il governo cinese si tratterebbe di coincidenze, ma il messaggio diretto al presidente americano Donald Trump sembra piuttosto esplicito.
La visita di Kim Jong-un è stata ufficializzata dai media cinesi e da quelli nordcoreani, e con un linguaggio simile: “Su invito del presidente Xi” la visita durerà quattro giorni, fino al 10 gennaio, considerato anche lunedì come primo giorno di viaggio. In realtà, il treno che trasportava Kim e la sua delegazione è arrivato ieri intorno alle 11 alla stazione di Pechino. Speculazioni su un possibile viaggio in Cina del leader nordcoreano circolavano già lunedì sera, quando il convoglio aveva attraversato la città cinese di Dandong e le misure di sicurezza erano stranamente aumentate – eppure, come accade quando si tratta di Kim Jong-un, la sua visita era rimasta nel segreto dei corridoi dei palazzi di Pechino e Pyongyang. “Il leader nordcoreano è arrivato in Cina in cerca di una svolta nei colloqui sulla denuclearizzazione e su come migliorare i rapporti con l’America”, ha scritto ieri Yang Sheng sul Global Times, il giornale espressione della propaganda esterofila di Pechino. “Se la Corea del nord dovesse raggiungere risultati positivi e storici nei negoziati con gli Stati Uniti, secondo gli analisti cinesi il 2019 potrebbe essere un anno determinante per la Corea del nord come il 1979 lo fu per la Cina, quando stabilì i rapporti diplomatici formali con gli Stati Uniti e iniziò il suo percorso di riforme e apertura”. I media internazionali hanno notato poi un dettaglio ancora più simbolico, perché ieri era il compleanno del leader Kim. “Un coordinamento con la Cina prima del prossimo summit Usa-Corea del nord era prevedibile”, ha detto Yun Sun, codirettrice dell’East Asia program allo Stimson Center, “ma le modalità con cui è avvenuto servono a sottolineare quanto sia speciale e intima la relazione tra Pechino e Pyongyang”. Nel discorso di Capodanno, Kim Jong-un aveva detto di essere pronto a incontrare Trump “in qualunque momento”.
Per ora ci sono troppe questioni sul tavolo. Lunedì, mentre il leader nordcoreano viaggiava verso Pechino, c’è stata una telefonata tra il presidente Trump e il primo ministro canadese Justin Trudeau, che ha ringraziato Trump per il suo “forte sostegno in risposta alla “arbitraria detenzione” di due cittadini canadesi in Cina – un supporto in realtà tiepidissimo, visto che Trump finora non ha mai menzionato i canadesi. L’arresto di Michael Kovrig e Michael Spavor da parte delle autorità di Pechino per questioni legate alla “sicurezza nazionale” è considerato una risposta al fermo di Meng Wanzhou di Huawei, che il Canada ha eseguito su richiesta degli Stati Uniti. La questione del nucleare nordcoreano è ovviamente connessa a questa partita, così come alle trattative sulla trade war.