Bastano pochi secondi per far impantanare la Brexit nel traffico
Londra si prepara al no deal e simula gli ingorghi dal porto di Dover. Non resta che estendere l’Articolo 50, ma serve una svolta
Roma. I camion in fila dall’aeroporto di Manston, nel sud-est dell’Inghilterra, al porto di Dover, l’approdo più vicino alla Francia, sono un altro piccolo effetto collaterale della Brexit. Il governo britannico ha pagato 89 camionisti per mettersi in coda lungo la corsia di emergenza come simulazione in caso di un mancato accordo sulla Brexit. Il tentativo goffo è stato deriso sui giornali e sui social, ma esprime un pericolo reale.
Ogni giorno circa 10 mila furgoni passano per il porto di Dover e un rapporto della University College London (Ucl) stima che il no deal, ovvero il mancato accordo sulla Brexit, avrebbe delle conseguenze terribili. Un aumento minimo dei controlli alla dogana comporterebbe un enorme peggioramento del traffico. Anche dieci secondi fanno la differenza. Secondo il rapporto di Ucl, un aumento di 40 secondi a veicolo non avrebbe alcun impatto sul traffico. Se i ritardi arrivassero a 70 secondi per ogni veicolo, ci sarebbero delle code di sei giorni in cui sarebbero coinvolti dai 1.200 ai 2.724 camion. Con un ritardo di 80 secondi, spiega il rapporto, “non ci sarebbero rimedi, tutto il paese rimarrebbe incastrato nel traffico”.
La simulazione del governo è un messaggio implicito all’Unione europea: ci stiamo preparando al no deal, non è uno scherzo. Il Parlamento probabilmente boccerà l’accordo sulla Brexit martedì 15 gennaio. Lunedì scorso la May ha ospitato tutti i deputati conservatori a Downing Street nella speranza di convincerli, ma non ci sono stati grossi passi in avanti. I tentativi della May di persuadere gli unionisti nordirlandesi non sono andati a buon fine. E non ci sono stati endorsement da parte degli euroscettici del Partito conservatore. Anzi, il falco filo Brexit Jacob Rees-Mogg ha detto che l’opposizione all’accordo della May è cresciuta durante le feste natalizie.
A questo punto, cosa può fare Bruxelles per scongiurare la possibilità del no deal? L’unica arma a disposizione dell’Ue è quella di estendere l’articolo 50, rinviando l’uscita del Regno Unito oltre il 29 marzo 2019. Secondo Peter Foster del Daily Telegraph questa ipotesi ormai è “inevitabile” perché l’accordo verrà bocciato e non c’è più tempo per cercarne uno nuovo. Secondo il quotidiano, alcuni emissari del governo si stanno già informando su questa possibilità a Bruxelles.
Il primo membro del governo a parlare della proroga dell’articolo 50 è stato il sottosegretario alla Cultura, Margot James, subito smentito da Downing Street. E il Parlamento potrebbe spingere verso questa soluzione: non soltanto i laburisti, ma anche i remainer conservatori. Il ruolo chiave lo svolgeranno proprio questi ultimi. Alcuni ribelli Tory voteranno un emendamento della deputata laburista, Yvette Cooper,che rimuove alcuni poteri del ministero dell’Economia per preparare il paese al no deal. Molti conservatori moderati “sono disposti a fare di tutto per evitare un mancato accordo”, come ha confessato il deputato Nick Boles. Il sottosegretario all’Industria Richard Harrington ha detto di essere addirittura pronto a dimettersi pur di evitare il no deal, e non è l’unico del governo a condividere questa linea. Molti osservatori si chiedono se gli europeisti conservatori sono disposti a votare la sfiducia contro la premier May per evitare questo scenario.
La più grande difficoltà per la May è che l’estensione dell’articolo 50 richiede l’approvazione di tutti i 27 stati membri dell’Ue. Qualcosa dovrà cambiare per convincere i partner europei: potrebbe essere il secondo referendum, oppure le elezioni anticipate, la soluzione caldeggiata da Jeremy Corbyn. Bruxelles deve avere una buona ragione per credere che, finalmente, può esserci una svolta sulla Brexit.