C'è un fattore immobiliare dietro i gilet gialli
L'aumento del prezzo delle case è tra le ragioni della crisi sociale. In Francia, ma anche in Italia
Milano. Un’inchiesta sui prezzi immobiliari alla quale Libération, quotidiano vicino alla sinistra francese, ha dedicato la sua prima pagina mercoledì scorso, mostra, da un’angolatura diversa, la stessa fotografia di un paese diviso fra città e campagne che la protesta dei gilet gialli ha portato in primo piano. “Un tempo – commenta il direttore Laurent Joffrin – operai e borghesi abitavano negli stessi agglomerati, gli uni ai piani alti o nei quartieri cari, gli altri nelle mansarde e nei sobborghi a buon mercato. Tutto è cambiato. Prezzi stratosferici nella capitale, alti nelle grandi città, rasoterra nei paesini e in campagna”.
Un’analisi di mercato che Libération utilizza per porre una domanda: “Come si fa a non vedere in questa segregazione del prezzo al metro quadro uno dei potenti fattori che spiegano la crisi che attraversa oggi il paese? È la lunghezza dei tragitti obbligati per andare al lavoro che ha funzionato da detonatore, contestando le tasse sui carburanti. Dalla crisi immobiliare alla crisi sociale, non c’è una bretella autostradale”. In pratica Joffrin riconduce la lotta di classe a una “lotta di spazi” ricordando come i tentativi dei governi di sinistra di favorire l’edilizia popolare si siano scontrati con le proteste dei sindaci di destra e degli immobiliaristi “che gridavano alla dittatura socialista”. E però, aggiunge, “il risultato del laissez faire è sotto i nostri occhi”.
La suggestiva analisi di Libération presenta diverse analogie con la situazione in Italia, come suggerisce al Foglio Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma e da sempre attento osservatore delle dinamiche del mercato immobiliare in relazione all’evoluzione del contesto sociale e urbano. “Non sono certo in grado di prevedere che cosa succederebbe se per caso venisse aumentato il prezzo della benzina, ma anche qui da noi si è verificata una frattura nella popolazione conseguente alla lievitazione dei valori immobiliari che ha messo sotto pressione i redditi della classe lavoratrice. Si tratta di un fenomeno diffuso nei paesi europei, eccetto che in Germania”, dice Dondi. In effetti, trovare casa nel pieno centro di Berlino a un prezzo accessibile per una famiglia di operai è molto più semplice che a Parigi (impossibile) o a Milano e Roma (molto difficile).
Come ci ricordano anche i film del dopoguerra e quelli fino agli anni ’60-’70, era frequente che in pieno centro storico convivessero contesse, avvocati, artigiani e manovali, spesso nella stessa stradina o addirittura nel medesimo palazzo, seppure in spazi e contesti abitativi diversi. C’era un tessuto sociale misto e vivo e le distinzioni di classe erano attenuate dall’accessibilità ai luoghi d’interesse e di lavoro, una cosa che rende la vita più facile a tutti, ricchi e poveri.
“A partire dagli anni Ottanta – ricostruisce Dondi – le fiammate dei prezzi del mercato immobiliare si sono via via inasprite diventando un trend consolidato dopo l’arrivo dell’euro e fino al 2007-’08. In questa fase le città si sono svuotate delle classi meno agiate, che non riuscendo più ad accedere a quartieri centrali si sono spostati nelle periferie e nelle campagne. Spesso questo fenomeno è stato descritto in modo romantico, come una scelta di vita più tranquilla e a contatto con la natura, ma in realtà nella maggior parte dei casi il trasferimento era dettato da motivi economici”. Per Dondi, non è esagerato parlare di “espulsione” di intere classi sociali dai centri urbani. E adesso? “Da qualche anno è in atto una lieve inversione di tendenza, le compravendite di case crescono ma con prezzi calanti e questo ha favorito un parziale ritorno nelle città da parte di coloro che aspirano a diventare proprietari di un appartamento – continua Dondi – Il problema dell’emarginazione urbana, però, persiste per quella parte della popolazione, circa un quinto, che punta all’affitto.
I prezzi delle locazioni, infatti, non hanno subito riduzioni e questo ostacola l'accesso alle zone residenziali di grandi città come Milano, Bologna, Firenze e in misura minore, Bergamo e Verona. Ma anche nel sud Italia ci sono casi, come Salerno e Napoli, i cui valori immobiliari sono troppo elevati per le classi lavoratrici che, così, vanno a collocarsi nelle periferie e o nei centri limitrofi non potendo, spesso, neanche contare su trasporti pubblici efficienti”. Migliaia e migliaia di persone che tutti i giorni si spostano in macchina sorbendosi ore di traffico. Almeno, che a nessuno venga in mente di aumentargli il prezzo della benzina.