La guerra segreta
Il capo delle Forze di difesa israeliane dice che ha battuto il generale Suleimani in Siria
Milano. La guerra di Israele contro l’Iran in Siria non è più segreta. L’epoca dell’ambiguità su attacchi aerei notturni e misteriosi è finita nel week-end, con le insolite interviste di un capo di Stato maggiore a giornali stranieri e le ammissioni di un premier (non a caso mentre l’America si prepara a lasciare la Siria). Quando domenica Benjamin Netanyahu ha per la prima volta riconosciuto pubblicamente che l’aviazione israeliana ha colpito obiettivi iraniani venerdì vicino Damasco, il suo capo di Stato maggiore, Gadi Eisenkot, aveva già parlato di “migliaia di attacchi” simili. Dopo aver snobbato per anni i media, il generale che termina questa settimana il suo mandato è uscito di scena assumendosi la responsabilità (e prendendosi il merito) d’aver fatto fallire il piano del nemico pubblico numero uno in Israele: il generale Qassem Suleimani, comandante di quell’unità della Guardie rivoluzionarie iraniane cui è affidato l’espansionismo militare di Teheran.
Dall’inizio del coinvolgimento iraniano nel conflitto siriano e fino alla fine del 2016, ha detto Eisenkot a New York Times e Sunday Times, Israele, senza mai ammetterlo, ha colpito soltanto carichi di armi destinati alle milizie libanesi di Hezbollah, impegnate in Siria a fianco del rais Bashar el Assad e alleate dell’Iran. Poi, gli israeliani hanno notato un cambiamento nella strategia iraniana, ha spiegato il generale al NYT. “La loro visione era quella d’avere una influenza significativa in Siria con la formazione di una forza di centomila combattenti sciiti in arrivo da Pakistan, Afghanistan e Iraq. Hanno costruito basi di intelligence e aviazione all’interno di ogni singola base siriana”. Così, a inizio 2017, gli israeliani hanno cominciato ad attaccare direttamente gli asset militari iraniani, sia con i jet sia con raid delle forze speciali. Ora, i vertici dell’esercito israeliano ritengono che l’Iran e il suo iconico comandante abbiano abbandonato il piano di stabilire una base permanente in Siria, e che abbiano diretto le loro attenzioni altrove, verso l’Iraq ancora instabile dopo le battaglie contro lo Stato islamico.
Prima d’uscire di scena, ha scritto il quotidiano israeliano Haaretz, Eisenkot ha voluto chiarire a Suleimani e ai suoi capi a Teheran che “hanno buttato via otto anni. Possono aver avuto successo nell’assicurare la sopravvivenza del regime di Assad, uccidendo mezzo milione di siriani nel mentre, ma gli è costato sedici miliardi di dollari, almeno duemila combattenti di Hezbollah e migliaia in più tra i poveri mercenari sciiti di Afghanistan, Pakistan e Iraq. E ora hanno poco da mettere in vetrina. Nessun aeroporto in Siria, nessun porto sul mar Mediterraneo, nessuna piattaforma di lancio missili”.