La democrazia accoltellata sul palco di Danzica e la piazza commossa
La crisi dell’Europa è frutto della democrazia rabbiosa e urlata. Parla Adam Michnik, fondatore di Gazeta Wyborcza
Roma. Il silenzio di Danzica, le fiaccole di Varsavia. I cortei ordinati e attoniti di Cracovia e tutte le città polacche. La Polonia vista dall’alto, nelle immagini gelide della notte tra lunedì e martedì, sembrava un fiume di speranze e di paure di cittadini scesi in strada perché domenica sera, durante un evento di beneficenza, non è stato ucciso soltanto il sindaco di Danzica Pawel Bogdan Adamowicz – un modernizzatore, un polacco e un europeista –, sul palco è stato colpito al cuore anche il progetto di una nazione libera, tollerante, che rifiuta la violenza. Dalla parte del governo il brusio, le dichiarazioni scomposte e la condanna di chi teme di avere parte di quella colpa, di aver spinto il coltello, pur non avendolo tenuto in mano. Adamowicz è stato ucciso da un ragazzo di ventisette anni che aveva trascorso cinque anni in prigione e aveva individuato nel sindaco e nel suo partito, Piattaforma civica, l’obiettivo della sua vendetta. Il PiS, Diritto e giustizia, che governa dal 2015, ha condannato: “La condanna è arrivata da tutti, Jaroslaw Kaczynski, il primo ministro Mateusz Morawiecki e il presidente Andrzej Duda. La reazione è stata univoca”, dice al Foglio Adam Michnik. “Ma va ricordato che questo crimine è stato nutrito dalla propaganda del governo, dal suo linguaggio, dalle offese”.
Il linguaggio dell’odio, della menzogna, del disprezzo ha cambiato il volto della Polonia, ha stravolto la politica e avvelenato il dialogo e “quello che è successo a Danzica è il risultato”, dice Michnik. Questo europeista, fondatore e direttore del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, che ha appoggiato Lech Walesa e il suo Solidarnosc perché credeva in un’evoluzione democratica della nazione, è convinto che la Polonia sia malata di odio e di rabbia. Due sentimenti che si sfogano contro tutto, contro la nazione, contro i partiti dell’opposizione, contro l’Europa. “Le persone capiscono l’Europa in modo elementare, è chiaro che l’Unione ci ha regalato soltanto cose positive. Ma c’è una parte della società, quella più conservatrice, che crede che l’Europa sia Sodoma e sia Gomorra. Che se arrivano le droghe è perché passano attraverso i confini dell’Europa, se c’è l’aborto, se esiste il divorzio, tutto si è infiltrato attraverso le frontiere e mai altrimenti avrebbe contagiato la società polacca. Anche parte dei cattolici guarda all’Europa in modo negativo, crede che l’Unione porterà alla perdita dei valori cristiani”.
Poi ci sono coloro che capiscono che Bruxelles è un vantaggio, una risorsa che una volta il leader polacco Jaroslaw Kaczysnki chiamò senza nessun filtro: “Il bancomat di Varsavia”. In virtù di questa funzione promise che non ci sarebbe stata nessuna Polexit. I cittadini sanno quanto l’Ue abbia fatto per la Polonia, non vogliono uscirne, ma c’è una parte radicale della società che pur volendo i privilegi dell’europeismo non ne comprende i valori. L’europeismo è parte del progetto polacco colpito al cuore domenica, lo era anche Pawel Bogdan Adamowicz e questo sindaco, determinato entusiasta e coraggioso, come dice Michnik, “per la Polonia ha dato la vita”. La sua morte ha impoverito questa democrazia che vanta una storia di eroismo, di testardaggine e resistenza. L’Europa intera percepisce questa crisi, una stanchezza tormentata dalla voglia di un numero crescente di partiti nazionalisti, al governo e non, di riscrivere il significato del disegno europeo.
“Se l’Europa è in crisi è perché è la democrazia a essere in crisi – dice il giornalista – In questi anni le è stato tolto tutto, è stata deromantizzata e teatralizzata. Così i partiti populisti sono riusciti dapprima a sussurrare all’orecchio delle persone, poi hanno alzato la voce, poi hanno urlato e secondo Michnik in questo modo la democrazia è stata profanata, rimpicciolita, trasformata in una caricatura. “Questo sta succedendo ovunque, un’onda potente che travolge ogni paese, la Polonia, l’Italia, l’Ungheria, la Germania, la Francia, i Paesi bassi. Ognuno ha il suo populismo, ognuno ha il suo antieuropeismo, ora anche la Spagna”. La democrazia è in crisi ovunque, lo è negli Stati Uniti con Donald Trump e anche la Brexit è stata il velenoso prodotto di una democrazia maltrattata e distorta, ma in Europa ha coinciso con la guerra al sogno europeo. “E’ un'onda che si sta rivelando molto forte, le onde vanno fermate e contenute, è quello che stiamo cercando di fare in Polonia dove le ultime elezioni hanno dimostrato che ci possiamo riuscire”. La previsione di Michnik è piena di ottimismo, nelle ultime elezioni in Polonia, a ottobre, il PiS ha ottenuto dei buoni risultati, rispetto alle elezioni del 2014 ha guadagnato sei punti, ma non è riuscito a prendere quello che voleva: le città. Le roccaforti europeiste che l’altra notte hanno riempito le strade, in silenzio religioso e composto, con le fiaccole in mano, per ricordare che tutta la democrazia era stata colpita al cuore. Il paradosso polacco, europeista in piazza ed euroscettico al governo, sta in un’alchimia di voglia di libertà, antica e storica, e di ansia, di paura che l’Europa privi la nazione delle proprie radici, ma l’80 per cento dei polacchi rimane favorevole all’integrazione europea. “E’ una percentuale molto alta perché le persone, anche coloro che non comprendono i valori democratici dell’Ue, danno importanza a innovazioni europee quali il mercato libero e i confini aperti e non vogliono rinunciarvi, quindi l’ondata può essere sconfitta”. L’europeismo dei polacchi sarà anche pratico, ma è stata questa forma di attaccamento a far dimenticare al PiS la voglia di Polexit. “Salvini e Kaczysnki si sono incontrati e pare siano andati d’accordo”, dice Michnik ricordando la vista del ministro dell’Interno italiano a Varsavia per porre le basi di un’alleanza in vista delle europee. Dall’incontro non è uscito nulla, soltanto convenevoli, ma che ci sia questa Europa dentro l’Europa, e che questa Europa euroscettica stia godendo di un grande successo è un fatto che potrebbe riscrivere o distruggere il progetto europeo: “La visita di Salvini è significativa, indica che questi movimenti non guardano più soltanto dentro ai loro confini nazionali, vogliono allearsi, si incontrano e sta accadendo ovunque”, ma è un’onda, ricorda Adam Michnik, e le onde vanno contenute.
Nei cortei silenziosi e illuminati da fiaccole che sfilavano per strade polacche c’era di tutto. C’era il dolore, la paura, c’era la speranza, c’era anche la rabbia, una rabbia diversa rispetto a quella che ha guidato il coltello contro Adamowicz. C’era l’impazienza di chi vuole che la Polonia si volti, guardi il suo passato in faccia, guardi il suo presente e si renda conto che qualcosa nel mezzo si è rotto, è stato avvelenato. C’era anche la voglia di ricostruire, di ricominciare dal linguaggio, dai simboli, dal rispetto. Le città polacche, riunite per ricordare Pawel Bogdan Adamowicz, erano piene del popolo europeo.