La premier Theresa May e il leader dell'opposizione Jeremy Corbyn discutono in Parlamento (Foto LaPresse)

A caccia di un piano B, la May deve tendere la mano ai laburisti

Gregorio Sorgi

Al Parlamento di Londra si lavora a un accordo bipartisan che sa di soft Brexit. Chi è coinvolto e le linee rosse da superare

Roma. Incassata la fiducia della Camera dei Comuni, la premier Theresa May si presenterà in Parlamento lunedì prossimo per spiegare il suo piano B sulla Brexit. Intanto, ieri sera ha annunciato che incontrerà i leader di tutti i partiti oltre ad alcuni parlamentari di rilievo. A questo punto, il primo ministro non può più insistere con il suo accordo, che è stato bocciato da 432 deputati e da più di un terzo del suo gruppo parlamentare. Anzi, con il senno di poi, la May ha perso fin troppo tempo a persuadere gli unionisti nordirlandesi del Dup e l’ala filo Brexit del suo partito, con scarsi risultati. Ma non erano quelli i voti che servivano alla premier per fare passare il suo accordo. I brexiteers conservatori sono pregiudizialmente contrari a ogni intesa che prevede un legame, anche minimo, con l’Unione europea. Molti di loro sono pubblicamente a favore del mancato accordo (il “no deal”), e difficilmente cambieranno idea. Dunque, l’unica via di uscita per Theresa May è quella di “coinvolgere anche i membri dell’opposizione”, ovvero i laburisti, come ha detto lei stessa dopo la sconfitta parlamentare martedì sera.

  

La settimana scorsa la premier aveva parlato con alcuni leader sindacali, da sempre vicini al Labour, per convincerli a sostenere il suo accordo. Tuttavia, il tentativo non ha sortito nessun effetto tanto che i deputati laburisti hanno bocciato l’accordo con poche defezioni (solo tre). Ma adesso le cose potrebbero cambiare. Secondo il Times, la May avrebbe incaricato David Lidington, il suo vicepremier di fatto, di ascoltare le richieste dei moderati del Labour per trovare un compromesso. Non sarebbe la prima volta che questo accade. La scorsa settimana i deputati laburisti e alcuni ribelli conservatori hanno approvato alcuni emendamenti in Parlamento per scongiurare il no deal. Philip Collins, ex ghost-writer di Tony Blair, aveva avvertito i deputati laburisti che, a forza di dire no all’accordo della May, sarebbero stati complici del “no deal”. Questo appello al realismo non era rivolto al leader dell’opposizione Jeremy Corbyn ma ai deputati filoeuropei, come Hilary Benn e Yvette Cooper.

  

La minoranza europeista dei Tory, che ha votato contro l’accordo della May, spinge per questa anomala alleanza. Il veterano conservatore Ken Clarke, che sostiene questa tesi da molto tempo, ha illustrato il suo piano a Westminster: “Esiste una maggioranza in Parlamento contro il no deal. Dobbiamo estendere l’articolo 50 oltre il 29 marzo e trovare un accordo con l’opposizione che ci consenta di restare nell’unione doganale”. Molti dei suoi colleghi di partito lo hanno deriso, eppure la May gli ha risposto che “l’Unione europea è disposta ad estendere l’articolo 50 solo se c’è una possibilità concreta che Westminster approvi un accordo”. Una retorica molto più conciliante rispetto agli ultimi mesi, in cui la premier aveva sempre escluso un rinvio sulla Brexit. La difficoltà di questo ipotetico accordo è che, come ogni compromesso, richiede delle concessioni da entrambe le parti.

 

Ad esempio, la May dovrebbe accettare l’unione doganale permanente, una delle richieste della minoranza laburista alla quale la premier è sempre stata contraria. Poi, è probabile che Jeremy Corbyn resterà contrario all’accordo a prescindere dalle concessioni che gli verranno offerte. A quel punto, i suoi deputati lo tradiranno? “Alcuni potrebbero votare contro Corbyn, però rischiano di rovinare le proprie carriere politiche. Anche se le circostanze potrebbero giustificare questo azzardo”, dice al Foglio il politologo Philip Cowley. Lo stesso vale per i conservatori. I brexiteers e il loro apparato mediatico sono già stati molto duri contro i “traditori” remainers. “La May rischia di dividere in due il suo partito”, avvertono i critici. Anche se, a ben vedere, il partito è già abbastanza diviso (196 hanno votato a favore, 118 contro) ed è difficile fare peggio.

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