“Lo stallo parlamentare rende probabile il People's Vote”, dice Flinders
"Corbyn non cambierà idea perché è un euroscettico. La May si è comportata da leader di partito, non da primo ministro". Parla il politologo di Sheffield
Roma. Theresa May mercoledì scorso ha ottenuto la fiducia dal Parlamento britannico, con 325 voti a favore e 306 contrari, ma il suo è un consenso fragile e l’esito della Brexit è tuttora imprevedibile. Matthew Flinders, politologo inglese dell’Università di Sheffield, autore di “In difesa della politica” (Il Mulino), spiega al Foglio perché la strategia di May è stata fallimentare, almeno fin qui.
“Non ha funzionato e si potrebbe sostenere che non ha mai avuto una strategia, nel senso di un approccio attentamente pianificato e multidimensionale, per eliminare quello che sarebbe sempre stato un problema spinoso”. Cioè gestire la trattativa con l’Unione europea dopo il voto del giugno 2016, durata a lungo. La questione è che, “anche sulla scia della sconfitta, Theresa May non aveva nessuna strategia alternativa – nessun Piano B – e il suo approccio uni-dimensionale è stato il problema principale da sempre. La sua mancanza di intelligenza emotiva è venuta alla ribalta”. Lo notava anche Philip Stephens sul Financial Times di ieri: “In politica, la conoscenza di sé è l’inizio della saggezza. Il primo ministro non può fare niente di buono finché non ammette a sé stessa perché la sua proposta era destinata a essere un fallimento”.
Anche perché, ha scritto Stephens sul Ft, avrebbe dovuto mettere da parte “la sua vanità e comportarsi da primo ministro piuttosto che da capo partito”, E i tentativi di preservare l’unità dei Tory sono già stati testati “fino alla distruzione”. Adesso May è sì sopravvissuta al voto parlamentare, dice Flinders al Foglio, “ma per ragioni negative; il Dup, il partito degli unionisti nordirlandesi, non ha interesse nell’affossare il governo e nessuno nel partito conservatore vuole il suo posto al momento. Quanto andrà avanti è un altro discorso, specie se riporterà un altro pacchetto di proposte fallimentari”.
Viene dunque da chiedersi se non sia meglio un secondo referendum, se non si debba ridare la parola al popolo a questo punto, a due anni e mezzo di distanza da quello che fece vincere il sì alla Brexit. Un sovranista alle vongole direbbe che no, la Gran Bretagna si è già espressa contro il “remain” e casomai è il non accordo di Theresa May a non andare bene. Flinders la vede diversamente: “Lo stallo parlamentare sta rendendo più probabile un secondo referendum. Era una non-opzione solo poche settimane fa e potrebbe non rappresentare l’unico modo per rompere lo stallo. Un secondo referendum è desiderabile per alcune ragioni, ma non per altre. Nel complesso sì, ma lascerà il grugnito insoddisfatto dei brexiteers, pronti a rimuginare su ciò che loro vedono come il tradimento delle élite e dell’establishment. Questo potrebbe portare a un’impennata del populismo”.
Si potrebbe ipotizzare un ripensamento di Jeremy Corbyn, finora contrario all’idea di un secondo referendum? “No”, risponde Matthew Flinders. “Corbyn ha uno strano orgoglio, non cambia mai idea. Ed è anche un brexiteer, perché pensa che l’Europa sia un accogliente club capitalista. Il problema è che la maggior parte degli iscritti al suo partito sono ‘remainers’. La cosa ridicola è che al momento se domani ci fossero le elezioni nessuno sa quale sarebbe la politica del Labour sull’Unione europea – potrebbe essere Brexit, potrebbe essere ‘remain’ o potrebbe essere il sì a un secondo referendum”. Quindi, dice Flinders, “perché il Labour stia spingendo per le elezioni sulla base del caos della Brexit è piuttosto strano!”. Ma, in definitiva, la Brexit ci sarà davvero il 29 marzo? “Difficilmente oserei fare previsioni in un contesto così febbrile e incerto, ma se spinto a pronunciarmi direi di no”.