E il Vaticano che fa sul Venezuela?
L’inconsueta difficoltà della diplomazia vaticana nel capire gli sviluppi della crisi di Caracas
Roma. Mentre Nicolás Maduro, in camicia vinotinta, gridava al golpe imperialista, la Conferenza episcopale venezuelana pubblicava sul proprio profilo Twitter le foto dei vescovi che si univano alle folle che in tutto il paese manifestavano per l’indipendenza del Parlamento e contro il caudillo delfino di Hugo Chávez. Presuli in camicia, altri con la bandiera nazionale stampata sul cappello da sole. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo di Merida e amministratore apostolico di Caracas, faceva sapere da Panama che i sacerdoti hanno tutto il diritto di manifestare. Dopotutto, per i vescovi venezuelani, il governo di Maduro è “illegittimo”.
#CEV Mons. Víctor Hugo Basabe, Obispo de San Felipe en la manifestación de hoy 23 de enero, acompañando al pueblo de Yaracuy. pic.twitter.com/jaf0ahgwer
— CEV (@CEVmedios) 23 gennaio 2019
#CEV Seminario Mayor Santo Tomás de Aquino en Maracaibo acompañando al pueblo Zuliano este 23 de enero. pic.twitter.com/0HIfdS6kGu
— CEV (@CEVmedios) 23 gennaio 2019
#CEV Mons. Luis Enrique Rojas, Obispo auxiliar de Mérida, con el pueblo Merideño este 23 de enero. pic.twitter.com/1j6xO7HldX
— CEV (@CEVmedios) 23 gennaio 2019
Lo avevano dichiarato con un comunicato il 10 gennaio scorso, lo ribadiscono oggi. In mezzo, però, c’è stato l’imbarazzo dovuto alla decisione della Segreteria di stato – da agosto, tra l’altro, il sostituto è il venezuelano Edgar Peña Parra – di inviare un proprio rappresentante alla cerimonia di insediamento di Maduro. Evento disertato dalla maggioranza dei paesi europei e di quelli sudamericani. La risposta data dal Vaticano alle richieste di chiarimento spiegava ben poco: “La Santa Sede mantiene delle relazioni diplomatiche con lo stato venezuelano. La sua attività diplomatica ha come finalità promuovere il bene comune, tutelare la pace e garantire il rispetto della dignità umana”.
Per questo, “la Santa Sede ha deciso di essere rappresentata nella cerimonia di inaugurazione della Presidenza”. Una posizione terza che contrastava palesemente con quella dei vescovi locali, da tempo attivi nel denunciare i soprusi del regime, anche a danno delle chiese e del clero – mercoledì, non a caso, sono state diffuse le foto della cattedrale di Maturin assediata dai militari governativi mentre all’interno si erano rifugiati settecento manifestanti. Immagini che ancora di più rendono perplessi sulla scelta di partecipare alla festa d’intronizzazione del presidente che per i presuli è “illegittimo”.
La cattedrale di Maturin assediata dai militari governativi mercoledì scorso (Immagini prese dall'account Twitter della Conferenza episcopale venezuelana)
È come se la Segreteria di stato sia stata scavalcata dagli eventi, ignara del fatto che, mentre persisteva nel mantenersi al di fuori della battaglia tra maduristi e oppositori, si preparava la defenestrazione del presidente. Un temporeggiare inusuale, se è vero che su altri dossier l’attivismo, non solo a fatti ma anche a parole, è stato palese. Fin dall’inizio della crisi venezuelana, però, lo stesso Pontefice ha assunto una posizione di basso profilo, escludendo la possibilità di mediare tra le parti. Il timore è sempre stato quello di divenire una sorta di feticcio da esibire a sostegno delle proprie ragioni. Il tentativo di “facilitare” il negoziato non è andato a buon fine. Giovedì pomeriggio, la Sala stampa vaticana ha fatto sapere che “il Santo Padre segue da vicino l’evolversi della situazione e prega per le vittime e per tutti i venezuelani” e che “la Santa Sede appoggia tutti gli sforzi che permettano di risparmiare ulteriore sofferenza alla popolazione”. Ancora estrema prudenza per una situazione complessa, dovuta anche al timore di un’escalation da parte delle forze governative contro le chiese e quanti vi cercano rifugio.