“Sul Venezuela l'Italia non può nascondersi dietro la diplomazia astrusa”
L'intervento di Pier Ferdinando a sostegno di Guaidó: “Non possiamo non battere un colpo e in queste ore. L'unica istituzione venezuelana legittimata democraticamente è il Parlamento”
[Pubblichiamo il resoconto dell'intervento svolto dal senatore Pier Ferdinando Casini durante la seduta dell'Aula del Senato del 24 gennaio 2019]
Signor Presidente, anzitutto vorrei iniziare questo breve intervento esprimendo un pensiero affettuoso e sincero, spero rappresentativo di tutto il Parlamento, agli italiani che vivono in Venezuela e che in questo momento soffrono pesantemente le conseguenze di una situazione che si protrae da diversi anni.
Onorevoli colleghi, credo che tutti abbiamo assistito con apprensione a quello che sta accadendo in Venezuela. Vorrei dire una cosa in premessa. Sul Venezuela la politica italiana negli anni passati si è divisa pesantemente: del Venezuela abbiamo dato giudizi diversi; storicamente del chavismo sono stati dati giudizi diversi. Ma oggi non è il momento di riaprire la pagina delle discussioni storico-politiche. Oggi è il momento di guardare in faccia la realtà e di vedere come uno dei Paesi che negli anni Settanta erano tra i più ricchi del mondo, ai vertici di tutte le statistiche mondiali, oggi si è ridotto ad essere un Paese in cui un decimo della popolazione è scappato, il 90 per cento vive sotto i livelli di dignità, la maggior parte dei bambini non va più a scuola perché alla ricerca, tra i bidoni della spazzatura di qualcosa da mangiare per sé e per la famiglia, essendo il cibo razionato; la produzione petrolifera è scesa da 3 milioni di barili a 900.000 e, probabilmente, nei prossimi mesi si arresterà, per la semplice ragione che non sono state adeguate le attrezzature in tutti questi anni, e quindi anche l'unica risorsa di cui il Paese dispone si sta inaridendo.
Davanti a questa situazione, colleghi, sapete benissimo che negli anni scorsi sono intervenute le autorità internazionali, dall'Onu all'Organizzazione degli Stati americani, dal Mercosur a quella che è la principale risorsa spirituale del Venezuela, la Chiesa cattolica con la Conferenza episcopale. Non solo. Il Santo Padre, Papa Francesco, e il Vaticano sono intervenuti più volte anche per cercare di proporsi - poiché avevano il consenso di tutti, del regime e dell'opposizione - come elemento di dialogo politico.
Ricordo ai colleghi - molti di voi erano appena arrivati - che un anno e mezzo fa il Senato approvò a larghissima maggioranza una mozione e con parere favorevole del Governo. Faccio solo notare che, allora, il ministro degli Affari Esteri venne in quest'Aula a ricordarci che i nostri connazionali volevano medicinali; alcuni nostri funzionari dell'ambasciata avevano avuto congiunti morti per malattie abbastanza banali e non c'erano medicinali. Ma davanti alla richiesta delle autorità italiane di fare arrivare i medicinali alla nostra comunità, il ministro degli Esteri venezuelano aveva detto al nostro ministro degli Esteri che in Venezuela le cose andavano bene, che dei medicinali non ce n'era bisogno, che se avessimo avuto bisogno di medicinali per i nostri connazionali, li avrebbero forniti loro e che avremmo dovuto solo fornire un elenco.
La nostra diplomazia, e ancora prima il presidente Gentiloni e l'allora nostro ministro degli Affari Esteri e poi il ministro Alfano si sono umiliati - e hanno fatto bene, del resto non potevano fare altrimenti - addirittura a fornire l'elenco dei medicinali e delle persone bisognose. Ebbene, tutto questo naturalmente non ha prodotto nulla, perché era una scusa per non accettare medicinali dall'estero.
Vi dico di più. C'è stata la proposta della Chiesa di ergersi a mediatrice, ma si chiedeva la liberazione dei prigionieri politici e il ripristino delle tappe elettorali, le elezioni liberamente convocate. Ebbene, tutto questo ha prodotto un muro di diniego, al punto che il Santo Padre e la Chiesa cattolica si sono ritirati rispetto a qualsiasi ipotesi di lavoro, perché non c'era la possibilità di proseguire.
In questi ultimi giorni la situazione è degenerata: è stata costituita un'Assemblea costituente priva di basi giuridiche pur di mettere una “zeppa”. A cosa, colleghi? Siamo in Parlamento, siamo il Senato della Repubblica italiana, uno dei Paesi più democratici del mondo, pur con tutti i suoi limiti, con i nostri dibattiti tra maggioranza e opposizione, che, alla luce di ciò che accade in Venezuela, sono straordinari esempi di palestra democratica: ebbene, l'unica istituzione venezuelana legittimata democraticamente è il Parlamento di quel Paese.
Cos'è stato fatto dunque al Parlamento venezuelano? I parlamentari sono stati privati dello stipendio ed è stato addirittura blindato l'accesso al Parlamento, per cui sono state tolte luce, elettricità e tutto ciò che era necessario per il suo funzionamento. Il Parlamento è stato paralizzato e, nonostante questo, i nostri colleghi hanno continuato nella loro azione, nell'isolamento internazionale, fino ad arrivare a ieri, giornata storica per il Venezuela, nella quale però tutti noi - se crediamo ancora nel valore della parola democrazia e nel suo significato - non possiamo per far finta di non aver visto quanto sta accadendo. Non possiamo nasconderci ancora una volta dietro alle frasi nella diplomazia astrusa: qui dobbiamo prendere posizione, non si può dire né con gli uni né con gli altri; è troppo semplice, colleghi.
Lasciando perdere gli Stati Uniti, perché qualcuno potrebbe metterla sull'ideologico, guardiamo all'Organizzazione degli Stati americani, al Brasile di Bolsonaro, all'Argentina, alla Colombia, all'Ecuador, storicamente non di certo allineato con il fronte dei conservatori: nella giornata di ieri, tutti questi Paesi, compreso il Canada, hanno riconosciuto la legittimità istituzionale e politica non di chi si è autoproclamato Presidente dello Stato, ma di chi semplicemente ha offerto il proprio mandato come Presidente a tempo, come ha fatto Guaidó, nel tentativo di favorire un processo democratico e uscire da quest'incubo, il cui primo e unico attore è quel Maduro che continua a far finta di rappresentare il Venezuela come fosse un Paese nella piena normalità. Naturalmente è una cosa che contrasta con tutto, il buonsenso per primo.
Colleghi, credo che l'Italia debba battere un colpo: lo deve fare in nome e per conto dei connazionali che ho visto due anni fa a Caracas, che soffrono pesantemente. Molti di loro naturalmente sono scappati, ma tanti hanno le loro attività e i loro figli lì (e altrettanti, a dire il vero, li hanno già mandati a studiare all'estero, anche in Italia).
Non possiamo non battere un colpo e in queste ore - da italiano, da membro del Senato, partecipe della vita democratica di quest'istituzione - chiedo al ministro degli Esteri di esprimersi, evitando di prendere tempo, e di collocare l'Italia nella posizione della comunità dei Paesi liberi che in queste ore si stanno esprimendo, a partire da quelli dell'Unione europea.
So che possono esserci divisioni, ma mi rivolgo ai colleghi del Governo, che hanno tutto il mio rispetto, perché non sono usurpatori, in quanto sono lì per il voto espresso dagli italiani: posso contrappormi a voi, ma vi debbo rispettare. Chiedo a voi, interpreti primari della volontà popolare, in quanto maggioranza, di stare al fianco della comunità degli uomini e delle donne liberi di questo mondo, di Guaidó e del Presidente del Parlamento del Venezuela nel presente drammatico trapasso per quel Paese.
Viva l'Italia, ma viva il Venezuela!