L'opposizione in Venezuela ha un problema: i barrios hanno perso fiducia nella libertà
Dopo l’esercito, il nodo dei quartieri popolari che diffidano di Juan Guaidó e compagnia più di quanto detestino Nicolás Maduro
Roma. Li avete guardati bene i leader politici e mediatici dell’opposizione venezuelana, il capo storico Leopoldo López (di cui l’autoproclamatosi presidente Juan Guaidó è il vice) e sua moglie Liliana Tintori? Vi volete chiedere per quale ragione dovrebbero identificarsi con questa leadership, o anche solo provare a fidarsi delle loro intenzioni benedette pubblicamente da Donald Trump con un tempismo che non contribuisce a renderli popolari in un paese fradicio di timori d’ingerenze yankee, gli abitanti delle baraccopoli aggrappate alla montagna che dominano dall’alto Caracas? Di solito sono loro, il popolo dei “barrios”, quelli che, assieme ai colpi di mano militari, travolgono i governi nelle grandi insurrezioni di piazza di cui è fatta la storia del Venezuela. Perché stavolta i poverissimi non scendono tutti giù inferociti, perché non si uniscono – se non poco a poco, con il conta gocce – alle oceaniche e sacrosante manifestazioni contro il regime che ha illuso e tradito la loro speranza di riscatto e li ha affamati, ha svenduto il loro petrolio alla Cina, regalato il paese alla Russia senza riuscire nemmeno a garantire i rifornimenti di carta igienica ai supermercati? Perché non riescono più a fidarsi. Hanno fame, sì, e molti di loro detestano la banda di criminali al governo che li tiene in ostaggio. Ma non si lanciano contro il palazzo di Miraflores come hanno fatto nel Caracazo del 1989 o nell’aprile del 2002, perché diffidano di questi personaggi più di quanto detestino Nicolás Maduro che da tempo oramai moltissimi di loro non votano più. Non pensano che questi leader una volta al potere farebbero i loro interessi.
L’amnistia promessa ieri da Guaidó a Maduro e la proposta brasiliana di un salvacondotto per convincere l’erede di Chávez a lasciare la scena potranno forse allettare i vertici del regime, rimasti finora compatti soprattutto perché se finisce l’èra chavista loro rischiano la galera. Forse l’amnistia li convincerà a sfilarsi, anche se su molti generali pendono accuse di narcotraffico e chissà come e se sperano di cavarsela, all’estero, con le inchieste della Dea, l’antidroga statunitense. Ma questo comunque non risolve il problema costituzionale dell’opposizione venezuelana che non riesce, dopo vent’anni di militanza e nemmeno con il chavismo alla frutta, a esercitare un minimo di egemonia sulla stragrande quantità di povera gente che nei “barrios”, pur disperata, continua a diffidare più dell’opposizione che del regime.
Forse nelle baraccopoli non protestano per fame? Certo che protestano, ci sono continui assalti ai forni in Venezuela. Ci sono in continuazione saccheggi, assalti ai negozi e ai camion del rifornimento dei mercati. Soprattutto negli stati periferici. Solo che l’opposizione non li rivendica come propri, mai. Durante alcune rivolte, nei “barrios” di Caracas e di Valencia, ragazzini sono rimasti attaccati alle grate elettrificate messe a protezione dei negozi. Nessuno li evoca come vittime di una battaglia propria. E loro non si fidano di quegli studenti perfettini di università private costosissime che in diretta tv giurano sulla Costituzione con la mano sul petto. Li ascoltano parlare del diritto di libertà politiche che dubitano vogliano far godere anche a loro.
Nella zona ovest di Caracas, tradizionalmente la più popolare, spesso i militari che scortano i camion con cui viene distribuita una sorta di cesta basica a prezzi bassi (che non basta a soddisfare le esigenze primarie, serve a tener buona la gente e a comprare consenso, ma esiste) intervengono per respingere piccoli assalti. Questo avviene da anni, non negli ultimi giorni soltanto. Sono episodi continui, non sporadici, che però non vengono contabilizzati tra le proteste politiche. L’opposizione, quest’opposizione, non ha interesse a riconoscere come protesta contro il regime questa catena di episodi di disperazione anche perché, attenta com’è all’interesse internazionale che deve suscitare, è molto ansiosamente impegnata a dare di sé l’immagine di una moltitudine non violenta. Le pare giusto ovviamente reclamare libere elezioni, libertà per i detenuti politici e restituzione dei pieni poteri al Parlamento esautorato dal regime. Ma a fare propria la rabbia di chi assalta le grate elettrificate non ci pensa neppure. Non ci ha mai pensato. Anche per questo quando scende in strada chiedendo libertà politiche, quando si autoproclama alla guida del paese promettendo di restituire libertà politiche ai venezuelani tramite libere elezioni, la maggior parte degli abitanti dei “barrios” non si unisce alla protesta, se non a stento. Non scommettono su gente che sentono estranea e sospettano ostile. Perché rischiare di farsi sparare addosso per rivendicare libertà considerate ormai privilegi altrui? Lo hanno fatto all’inizio dell’èra chavista, quando hanno creduto che la rivoluzione bolivariana fosse la loro. Chávez in questo riuscì. Seppe dare l’illusione a molti di avere finalmente diritto di vivere bene, migliorare, avanzare socialmente ed economicamente nel proprio paese. Da molti anni quell’illusione è un cadavere al vento.
Se l’esercito molla Maduro, il regime cade. Ma se l’ottima carta dell’amnistia non funziona, con quest’opposizione qui la banda criminale che ha in mano il governo a Caracas rischia di durare ancora parecchio.