I Fico anglosassoni ci fan pensare che gli anticorpi contro i populisti esistono
Nancy Pelosi a Washington e John Bercow a Londra: la resistenza contro gli estremismi
Milano. Forse il sistema non è del tutto spezzato, corrotto, fallito, forse le istituzioni democratiche ce li hanno davvero quegli anticorpi di cui andiamo parlando da anni, forse ce l’hanno davvero la forza di resistere agli eccessi e agli estremismi senza dover necessariamente finire a urlare inutili cinguettii di roboante indignazione. Questo forse, che vorrebbe essere una certezza, è incarnato da Nancy Pelosi e da John Bercow, i due Fico anglosassoni, lei speaker democratica della Camera americana, lui speaker conservatore dei Comuni britannici, entrambi impegnati in uno scontro con il potere esecutivo e con parte dei propri colleghi scandito da lettere, da emendamenti da discutere o no e da inviti – questo è in particolare Bercow – alla calma, al contegno, alla pazienza soprattutto.
La Pelosi ha inaugurato la sua lotta con il presidente Donald Trump in un colloquio nello Studio ovale a inizio dicembre, ripreso dalle telecamere, quando si tentava di evitare lo shutdown con il dialogo bipartisan e il presidente s’incaponiva sul muro al confine sud. Quindici minuti di scambio e il plauso dei commentatori: abbiamo trovato l’anti Trump, è Nancy. Infatuarsi di un argine al trumpismo è roba di pochi secondi (stiamo pure diventando di bocca buona, ché a far gli schizzinosi ci siamo ritrovati qui così, in questo stato) e da quel momento la Pelosi è diventata virale, con i suoi occhiali scuri e i cappottini colorati, la bulla più elegante di Washington. Fino al momento prima non si sapeva nemmeno se Nancy sarebbe stata nominata di nuovo come speaker: i democratici hanno voglia, bisogno di nuovo e questa signora californiana nonna di nove nipotini, in Parlamento da trent’anni, pareva proprio la peggiore delle rappresentanti. Poi la Pelosi si è imposta – non è stata tutti quegli anni alla Camera a fare l’uncinetto– e nel suo confronto con Trump è diventata una star: a differenza di altri, per ora sta pure vincendo. La dama democratica ha detto al presidente che non può tenere il discorso sullo stato dell’Unione – previsto per il 29 gennaio – al Congresso fino a che c’è lo shutdown. Trump non ha preso bene l’ingerenza di Nancy, ha messo su il suo ghigno presidenziale – non osate sfidarmi – e ha fatto un po’ di dispetti, ma poi ha dovuto cedere e ha detto che finché c’è lo shutdown non terrà il suo discorso programmatico (i suoi consiglieri in tv sono stati così costretti a spassose giravolte).
John Bercow (foto LaPresse)
Non c’è migliore rappresentazione dello stato dell’Unione di questo episodio, esattamente come accade dall’altra parte dell’Atlantico, nel Regno spezzato dal divorzio impossibile dall’Unione europea. Il governo vuole far passare un piano Brexit che è già stato bocciato, l’opposizione vuole andare al governo con qualsiasi espediente possibile, Brexit o non Brexit non importa, e il Parlamento, in cui da ultimo si sono viste scene poco edificanti (fuori è sin peggio: ci sono i gilet gialli brexitari), sta recuperando la propria centralità grazie allo speaker, che è riuscito con il suo “order” urlato a più riprese ai colleghi indisciplinati ad attirare l’attenzione persino sui cavilli e gli emendamenti della noiosissima Brexit. C’è chi dice che Bercow stia abusando del suo potere, chi gli manda messaggini vellutati per convincerlo a far discutere il proprio emendamento, lui si gode la popolarità internazionale e tra un “order” e l’altro ci fa sperare che forse – forse – il buon senso può ancora prevalere, e persino indossare cappottini dalla linea perfetta.
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