Sulla Brexit è di nuovo May contro Europa
La premier britannica ha la maggioranza in Parlamento per riaprire il negoziato con l’Ue. Bruxelles contraria e contrariata (Macron soprattutto)
Milano. I negoziati dell’ultimo minuto tra i conservatori britannici hanno salvato Theresa May, primo inedito del romanzo Brexit sempre uguale a se stesso. La premier britannica ha ottenuto la maggioranza per tornare a negoziare l’uscita dall’Unione europea, anche se l’Unione europea non è d’accordo, e l’ha ribadito con grande insistenza. A cinquantotto giorni dalla scadenza del negoziato sull’uscita del Regno Unito dall’Ue – così stabilisce il timer dell’articolo 50, che racchiude in sé tutta l’improvvisazione politica e strategica britannica: si è fatto partire il cronometro senza nemmeno essersi infilati le scarpe da corsa – il Regno Unito ha scelto di rimettere tutto in discussione.
Lo speaker del Parlamento, John Bercow, che è diventato famoso in queste ultime settimane per aver dimostrato due cose: l’istituzione parlamentare, almeno quella, c’è e, se messa nella condizione di operare, incide sulla vita pubblica del paese; il compromesso e la diplomazia sono l’unica via d’uscita quando le istanze ideologiche si rivelano – come spesso accade – impraticabili. Pare una considerazione da ancien régime, ormai tutto si fa nelle piazze, nei tweet, nei talk show, nei comizi, laddove non c’è contraddittorio, no? No: le questioni importanti, decisive, con un impatto duraturo sulla vita di un paese sono il frutto di una convergenza, persino i cantori della polarizzazione estrema che hanno animato il dibattito sulla Brexit nel Regno Unito se ne sono accorti.
Il falchissimo Jacob Rees Mogg, che finora ha cercato soltanto di sbarazzarsi della May puntando dritto a una fantasiosa hard Brexit, ha deciso di incontrare e discutere con alcune colombe del suo partito per un negoziato che è rimasto segreto fino all’ultimo (incredibile di questi tempi, l’unica motivazione plausibile è che tutti se ne vergognassero un po’) e che è apparso come l’unico negoziato di successo intraconservatore dal referendum del 2016 a oggi. Questo piano, detto “Malthouse”, dal nome del ministro che ha fatto da coordinatore, Kit Malthouse, ha un unico obiettivo: salvare i Tory dall’ennesima disfatta parlamentare. Per questo è piaciuto anche all’indecisa May, che sulle linee rosse ha avuto spesso ripensamenti, ma che sulla propria sopravvivenza è alquanto tenace.
Dal punto di vista della Brexit, il piano Malthouse propone delle modifiche che erano già state discusse, scartate, riprese, riscartate e che implicano una accondiscendenza europea a questo punto quasi impossibile: una riguarda il famigerato backstop al confine tra Irlanda e Irlanda del nord – secondo l’emendamento proposto dal conservatore Graham Brady può essere sostituito da “accordi alternativi”– e l’altra un’estensione del periodo di transizione di un anno – durante il quale il Regno continuerebbe ad adempiere ai suoi obblighi contributivi europei – per negoziare i rapporti commerciali e prepararsi eventualmente a una uscita secondo i termini della Wto per il 2021.
Bisogna riaprire il negoziato, bisogna farlo entro il 29 marzo ma una maggioranza si deve trovare entro il 13 febbraio, altrimenti l’unica alternativa è estendere l’articolo 50 – un emendamento approvato esclude, in linea di principio, il “no deal”. Ma sull’estensione c’è stato un guaio tutto dentro l’opposizione: la laburista moderata Yvette Cooper ha presentato un emendamento per una proroga di nove mesi, ma è stata emendata a sua volta dal suo stesso partito (sì, proprio così) per accorciare i tempi dell’eventuale proroga a tre mesi. Sforzi comunque sprecati: l’emendamento è stato bocciato, quattordici laburisti si sono ribellati.
La May ora dovrà andare di nuovo a Bruxelles e chiedere quel che è già stato escluso: rinegoziamo, e facciamolo in fretta. Con una serie di rimpianti: bisognava discutere di più in Parlamento, bisognava lavorare sulle convergenze, bisognava darsi il tempo, risvegliarsi dal sonno e dalle fantasie almeno un anno fa, forse prima. Ma questo Londra l’ha capito tardi, forse non l’ha capito neppure oggi, ed è così che la Brexit è diventata prima di tutto una guerra contro il buon senso.