In Venezuela Putin non ha fretta
La Russia non vuole intervenire, ma manda i mercenari per mantenere il caos
Roma. La notizia dell’arrivo di quattrocento soldati mercenari russi in Venezuela continua a trascinarsi una domanda: ma dove saranno andati a finire? Quattrocento persone non sono certo poche, cosa fanno, dove vivono, come si muovono? A dare la notizia è stata l’agenzia Reuters dopo attente verifiche. L’esercito mercenario avrebbe fatto scalo a Cuba, paese amico di Nicolás Maduro, per poi proseguire fino a Caracas. Le truppe di soldati irregolari sono spesso presenti negli scenari in cui il Cremlino non vuole far entrare l’esercito ma vuole mantenere il controllo. Sono in Ucraina, sono in alcune zone della Siria, in Sudan e in Repubblica centrafricana, non hanno il compito di risolvere la situazione, ma di mantenerla quanto più ingarbugliata, caotica e tesa possibile. In Venezuela, Vladimir Putin non ha fretta. Rimarrà fedele a Maduro non perché sia legato o interessato alla figura del leader venezuelano. Anzi, il Cremlino si è spesso sentito in imbarazzo per alcune sue dichiarazioni di amicizia e fratellanza spropositate. Né perché creda che il presidente sia la soluzione migliore per la nazione, le sorti della popolazione non interessano Mosca ma, più durerà il trambusto, il disordine, l’agitazione e l’eccitazione della protesta, più i russi sentiranno che i loro interessi sono al sicuro.
Nel panorama della nazione sudamericana non è la Russia il più grande e il più importante tra gli attori coinvolti, è il terzo in ordine di importanza dopo Stati Uniti e Cina – per qualcuno che include anche il Brasile è addirittura il quarto –, ma è senza dubbio quello che ha più interesse nel mantenimento del caos, e la presenza dei mercenari servirebbe a questo, ad alimentare il senso di agitazione politica che soltanto la figura di Maduro può garantire. Rosneft, il gigante petrolifero russo, ha già perso il 2,6 per cento e come ha detto Dmitri Marinchenko di Fitch a Mosca, la cosa peggiore che ora possa accadere alla società è un cambio di potere ai vertici.
Ma più che parteggiare per un ritorno all’ordine e per una piena restaurazione del regime di Maduro, così come vorrebbe la Cina, la Russia sa che lo scenario del disordine e delle piazze in agitazione può esserle ancora più utile. Più a lungo si trascinerà il conflitto, maggiori saranno le probabilità che si trasformi in uno stallo civile prolungato. La Russia in questi anni ha usato il Venezuela per avere una base in Sudamerica, per far atterrare bombardieri russi con capacità nucleari a due passi da Washington, ma è altamente improbabile che intervenga militarmente con il proprio esercito. Vuole evitare di inviare una forza seria a Caracas che potrebbe anche doversi scontrare un giorno con gli Stati Uniti, è sufficiente una presenza piccolina, mimetica che agisca in silenzio per scongiurare una rapida soluzione del conflitto. Per la Russia il Venezuela è anche un terreno difficile su cui agire, è un alleato lontano e ha già escluso ulteriori aiuti finanziari.
E’ un copione ormai antico che il Cremlino riproduce da anni. Non è la prima volta che appoggia un leader nei guai – ma questa volta è ancora meno motivata a intervenire –, chiedendo che il cambio di regime avvenga dopo regolari elezioni. Lo ha fatto in Siria dove Assad è ora più radicato al potere rispetto a sei anni fa. In Ucraina, Mosca non è stata in grado di garantire la sopravvivenza del governo in difficoltà, Yanukovich è fuggito in seguito alle proteste del 2014, ma comunque i russi hanno saputo mantenere il loro controllo alimentando e le aspirazioni separatiste. Anche in Venezuela lo scopo è sempre lo stesso e risponde al paradigma che ha guidato la politica estera russa degli ultimi anni: quanto più una nazione è in difficoltà, più facile è per Mosca aumentare la sua ingerenza. Il Cremlino sa mantenere i conflitti latenti. Il Venezuela non fa eccezione, Vladimir Putin non ha fretta, oggi ci saranno nuove proteste e poi altre ancora, l’importante è non trovare una soluzione, i mercenari non si vedono, ma Reuters assicura che ci sono, e se ci sono, sono lì per quello.