I complotti col gilet giallo
A guardare bene i social, la “pensée jaune” della piazza francese prende forma in modo chiaro. Indovinate a quale pensiero assomiglia
Parigi. Quali sono le ossessioni dei gilet gialli, gli incubi e le teorie del complotto che vanno più di moda nelle loro pagine Facebook? E quali sono le loro fonti di informazione di riferimento, quelle che combattono i “fottuti media mainstream”, come amano definire i media tradizionali?
Les Décodeurs, la squadra di giornalisti del Monde specializzata nel fact-checking, ha fatto un viaggio nella galassia internettiana dei gilet gialli, analizzando i duecento messaggi più condivisi su Facebook dai gruppi legati al movimento, per tentare di definire i contorni della “pensée jaune”. Dall’analisi di queste pubblicazioni, condivise quasi 6,9 milioni di volte, emerge un quadro assai chiaro di quello che il Monde definisce un “grande scarico di frustrazioni” e si distinguono quattro grandi tematiche, che talvolta si accavallano e altre volte si alimentano l’una con l’altra.
La prima è la mobilitazione in sé con le foto che la ritraggono (una delle pubblicazioni più condivise, 340 mila volte, raffigura gli Champs-Elysées invasi dall’onda gialla, una foto, secondo l’autore del post, che bisognava condividere presto perché sarebbe stata subito “censurata da Facebook”). La seconda è la denuncia delle repressioni del movimento da parte dei poliziotti e dei gendarmi, divenuta rapidamente il principale elemento di coesione. La terza e la quarta sono rispettivamente la critica delle élite e le rivendicazioni dei gilet.
La “fierezza gialla”
C’è anzitutto un sentimento di appartenenza molto pronunciato alla causa “gialla”, che spesso si confonde, come scrive il Monde, con una “rappresentazione idealizzata del popolo”. La maggior parte dei post su Facebook è dedicato al carattere massivo della mobilitazione, con messaggi in cui ci si entusiasma a vicenda, condividendo i numeri delle manifestazioni, le foto e i video che ritraggono maree umane, secondo un’iconografia che si rifà alle rivoluzioni francesi e allo stesso tempo alla musica popolare, con un’estetica da guinguette. Ma ci sono anche gli appelli alla solidarietà verso i “fratelli gialli” che non sono riusciti a unirsi alle manifestazioni, oltre che gli appelli a bloccare il bloccabile.
La repressione del governo con la complicità di “BFMacron”
Nell’immaginario dei gilet gialli, c’è un movimento popolare irenista, il loro, che si ribella contro “uno stato violento”, che, come nelle peggiori dittature, vuole schiacciare la gente comune con la brutalità dei poliziotti armati di pistole Flash-Ball e la complicità di “BFMacron” e gli altri “media mainstream”. La “violenza di stato”, come la definiscono, è il grande motivo di rabbia della “giallosfera”, da quando diversi “fratelli gialli” sono stati feriti all’occhio dai proiettili in gomma dei Crs, la polizia antisommossa. E le teorie dai toni complottisti vanno a gonfie vele per nascondere le violenze interne al movimento, come racconta il Monde.
Le scene di degrado a cui i francesi pacifici hanno assistito durante le manifestazioni dall’inizio del movimento? È colpa dei poliziotti che si sono travestiti da casseurs per screditare il movimento. Le auto saccheggiate? Sono veicoli falsi, senza immatricolazione, per i gilet gialli. Il calo del numero di manifestanti nelle ultime settimane? Sono i blocchi sulle autostrade imbastiti dall’esecutivo che hanno impedito ai manifestanti di presentarsi ai rassemblements. C’è poi il “Faites tourner!”, il “Fate girare!” dagli accenti grillini, entrato a far parte delle espressioni preferite dei gilet gialli, perché per combattere “BFMacron”, accusata di essere “il primo canale di propaganda di Francia”, bisogna condividere “ciò che i media non vi mostreranno”. Solo che spesso ciò che viene condiviso sono informazioni false, come quando si scrisse che Macron, firmando il Patto di Marrakech sull’immigrazione, stava vendendo “la sovranità della Francia” all’Onu, o come quando venne pubblicato un video fake con i poliziotti che si toglievano il casco “come gesto di solidarietà verso i gilet gialli”: peccato che, come rivelato da France3, si fossero tolti il casco soltanto perché avevano caldo. Poco importa, l’importante è fare più rumore possibile e gettare discredito sul governo.
L’odio verso le élite
Il presidente francese è la figura che cristallizza tutte le rabbie dei gilet gialli, ma a essere criticata, in realtà, è tutta la classe politica. Sconnessi dalla realtà quotidiana dei francesi, nemici del popolo, sottomessi a Bruxelles e ai suoi diktat, ma soprattutto troppo pagati, per i gilet gialli. Una delle fake news più condivise è sullo stipendio dei deputati e dei senatori d’oltralpe. I membri dell’Assemblea nazionale e del Senato francesi percepirebbero il doppio rispetto ai loro omologhi tedeschi e britannici, secondo i gilet. Niente di più falso: la Francia si situa al nono posto della classifica dei politici remunerati meglio.
“Vécu” e “Born to be jaune”, i media “alternativi” dei gilet gialli
“Mi considero un cittadino arrabbiato che ha creato una pagina per aiutare le persone, per informare”. Così si presenta Gabin Formont, 28 anni, che il 16 dicembre scorso ha lanciato su Facebook “Vécu, le média du ‘gilet jaune’”. Una pagina di attualità e di condivisione delle rivendicazioni gialle (ritorno dell’Isf, più giustizia sociale, aumento del salario minimo, abolizione dei privilegi dei politici etc.) dove i live per analizzare l’evoluzione delle proteste si affiancano alla pubblicazione delle foto dei volti tumefatti dei gilet feriti. I followers sono più di 42mila, tutti accomunati dall’ostilità ai media tradizionali “che troncano la verità, la manipolano”, sostiene Formont. Ma non c’è solo Vécu. C’è Jaune Tv, il media indipendente dei gilet gialli, c’è “Born to be jaune” (https://fr-fr.facebook.com/borntobejaune/), lanciato da un meccanico di 40 anni che ora sostiene di fare vera “informazione sul campo e nel cuore dell’azione” e c’è “France Actus”, codiretto da un diciottenne apprendista carrozziere. “Sono al servizio della verità, al servizio dei cittadini”, afferma Formont, per lottare contro la “netta disinformazione dei media mainstream”.