Fedeli cristiani in preghiera in una chiesa di Derik, in Siria (foto LaPresse)

In Siria è rimasto il due per cento di cristiani. L'Inghilterra si rifiuta di aiutarli

Giulio Meotti

Il ministro Hunt: “Il passato coloniale e il politicamente corretto ci frenano”

Roma. Asia Bibi, la donna cristiana reduce da un calvario di dieci anni nel braccio della morte in Pakistan a causa della propria fede, alla fine potrà rifarsi una vita in Canada, dove si trovano già le due figlie, dopo che la Corte suprema del suo paese l’ha definitivamente prosciolta da ogni accusa di “blasfemia”. Per il suo passato coloniale in Pakistan, per la lingua inglese e per la presenza di una copiosa diaspora pachistana, l’Inghilterra costituiva una delle destinazioni predilette per Asia Bibi. Ma Londra negli ultimi mesi è rimasta in silenzio sul suo caso, fino alle rivelazioni che il Foreign Office britannico sarebbe stato contrario a offrirle l’asilo, in quanto la presenza della cristiana avrebbe costituito un rischio per la sicurezza in patria e all’estero (attacchi alle ambasciate inglesi). “Il governo inglese ha rifiutato di incontrare la famiglia di Asia Bibi”, aveva rivelato l’ex vicepresidente del Partito conservatore di Theresa May, Rehman Chishti, spiegando che la famiglia della donna a ottobre era a Londra. Chishti in quell’occasione aveva tentato di far incontrare al marito e alle figlie di Asia Bibi tre ministri di Theresa May che avrebbero potuto perorarne la causa. Si sono tirati indietro.

 

Il motivo di tanta codardia è stato spiegato ieri dallo stesso ministro degli Esteri inglese, Jeremy Hunt: “Il senso di colpa postcoloniale per il passato imperiale britannico ha impedito al paese di affrontare la persecuzione dei cristiani di tutto il mondo”, ha spiegato Hunt, lanciando un’inchiesta governativa sulla cristianofobia globale. “Non dobbiamo permettere che una scorretta correttezza politica inibisca la nostra risposta alla persecuzione di qualsiasi comunità religiosa”. Un autentico mea culpa, quello di Hunt: “Siamo stati abbastanza generosi nell’offrire assistenza pratica alla portata della loro sofferenza? Abbiamo dato loro priorità in termini di difesa e di solidarietà con questo gruppo?”. La scorsa settimana era uscita la notizia che l’Inghilterra discriminava i cristiani perseguitati a favore dei rifugiati musulmani. Dei 4.850 siriani accettati dal ministero dell’Interno inglese nel 2017, 4.572 provenivano dalla comunità musulmana. Solo undici erano cristiani. Secondo i dati del secondo trimestre dell’anno scorso, dei 1.197 siriani accettati nel Regno Unito, 1.047 erano musulmani sunniti e dieci erano cristiani. Ventuno cristiani in tutto in appena due anni.

 

Due giorni fa, il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha rivelato che dopo il conflitto che ha lacerato la Siria per sette anni la componente cristiana della popolazione siriana è scesa ad appena il due per cento, rispetto a quasi il dieci di prima della guerra civile. “I cristiani rischiano concretamente l’estinzione in Siria”, ha detto Zenari. Il ministro Hunt ha incaricato il vescovo Truro Philip Monstefen di indagare sui casi di persecuzione dei cristiani in tutto il mondo e trovare un modo per proteggerli. La relazione è attesa per Pasqua. Il ministro Hunt ha detto che l’Inghilterra è stata molto attiva per sollevare il caso della minoranza islamica della Birmania, i Rohingya, e che non può applicare un doppio standard quando a essere perseguitati sono i cristiani (domenica, nelle Filippine, un attacco islamico alla cattedrale cattolica di Jolo ha causato ventuno morti). Adesso, alle parole, devono seguire i fatti. I casi di Asia Bibi e dei siriani non promettono niente di buono. In gioco nella sorte dei cristiani perseguitati, ha scritto due giorni fa sul Figaro Pascal Gollnisch, c’è il futuro delle relazioni fra l’occidente e l’islam: “Assisteremo allo sviluppo dei musulmani in Francia e alla scomparsa dei cristiani in oriente? Non ci può essere dialogo islamo-cristiano a nord e la discriminazione a sud. Non può esserci dialogo tra i cristiani del nord e le autorità musulmane del sud sulla testa dei cristiani che vivono a sud del Mediterraneo”. Non può esserci un nord multiculturale e un sud islamizzato. Per riprendere la formula di Hunt, sarebbe un incubo veramente politicamente corretto.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.