All'origine dei gilet
In Francia tre libri raccontano le periferie e quello che i politici non riescono a vedere (da anni)
Quando uscì nelle librerie francesi, nel settembre 2014, Laurent Joffrin, direttore di Libération, scrisse che “La France périphérique: comment on a sacrifié les classes populaires” era il “libro che la sinistra doveva leggere urgentemente”. Alexandre Devecchio, giornalista del Figaro, rispose che quel saggio sulla “Francia degli invisibili” era anche “il libro che doveva leggere Nicolas Sarkozy”, fresco di candidatura alla presidenza dell’Ump, per capire quali erano stati i suoi errori da inquilino dell’Eliseo e come poteva riconquistare quell’elettorato di provincia che gli aveva voltato le spalle illuso dai proclami del “président normal” François Hollande, l’elettorato dei petits blancs delle zone rurali. A quegli appelli reagì soltanto Manuel Valls, allora primo ministro apostata dal Partito socialista, che nel suo discorso di politica generale riprese punto per punto le tesi di Christophe Guilluy, geografo illuminato che aveva già scosso il dibattito delle idee parigino con “Les fractures françaises”, quattro anni prima. Nella “France periphérique”, Guilluy constatava il divorzio brutale tra la gauche e le classi popolari, ma soprattutto la spaccatura tra una Francia “d’en haut”, delle élite mondializzate che vivono nelle metropoli e godono di un forte potere d’acquisto, e una Francia “d’en bas”, periferica appunto, quel paese profondo che è scappato da Parigi e dai grandi centri urbani perché gli affitti sono insostenibili, ma ha abbandonato anche le periferie che un tempo erano operaie e oggi sono ghetti multietnici perché la vita, lì, è divenuta impossibile. Era in corso un esodo all’interno della Francia che la sinistra faceva finta di non vedere, una contro-società si stava creando lontano dalle mille luci di Parigi, una fetta di paese aveva fatto secessione per ritrovare il suo “capitale di autoctonia” (Guilluy) lontano dai centri della mondializzazione.
A distanza di quattro anni dall’uscita del libro cruciale di Guilluy, la questione della “Francia periferica” è riemersa assieme ai gilet gialli. “Profeta? Diciamo che sostengo da quindici anni che c’è un elefante malato (la classe media) in una cristalleria (l’occidente) e mi rispondono che non c’è l’elefante – ha dichiarato Guilluy al magazine Causeur – I gilet gialli corrispondono alla sociologia e alla geografia della Francia periferica che osservo da anni. Operai, impiegati e piccoli lavoratori indipendenti che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Precarie socialmente, queste categorie modeste vivono nei territori che creano meno posti di lavoro. Questi cittadini declassati illustrano un movimento radicato nel lungo periodo: la fine della classe media di cui fino all’altro ieri formavano la base”.
L’insicurezza economica che mette in luce Guilluy, autore di “No Society: la fin de la classe moyenne occidentale”, è figlia di una mondializzazione che non è “heureuse”, felice, nelle zone residenziali della Francia periferica, e nemmeno nelle campagne raccontate da Houellebecq in “Sérotonine”, dove gli agricoltori soffrono la concorrenza dei prodotti a basso costo importati dall’est Europa o dall’altra parte del mondo. Ed è aggravata da un’insicurezza culturale altrettanto centrale. “Dal contadino storicamente di destra all’operaio storicamente di sinistra, i gilet gialli constatano che il modello della globalizzazione non li integra più. Girano con le loro auto diesel perché gli è stato detto di farlo, ma si fanno trattare da inquinatori dalle élite delle grandi metropoli. Mentre il mondo che sta in alto riafferma senza sosta la sua identità culturale (la città globalizzata, il bio, il vivre-ensemble…), i gilet gialli non hanno intenzione di piegarsi al modello economico e culturale che li esclude”, spiega il geografo.
Quelli equipaggiati e quelli no
Alla Francia periferica, ai suoi contorni e alla sua essenza, hanno consacrato le loro ultime opere due autori che appartengono alla stessa generazione del presidente Macron: Gérald Andrieu, vicedirettore di Marianne e autore del saggio-inchiesta “Le peuple de la frontière”, e Nicolas Mathieu, insignito nel 2018 del premio Goncourt per il suo romanzo “Leurs enfants après eux”. Il Figaro li ha fatti dialogare attorno a questo mondo dimenticato che hanno visto da vicino, Mathieu perché lo ha percorso con lo zaino in spalla, attraversando le zone vittime della deindustralizzazione dove le telecamere di Bfm.tv faticano ad avvicinarsi, Mathieu perché della Francia periferica è figlio, nato nella Lorena dove gli altiforni hanno smesso di funzionare da molto tempo e gli imprenditori hanno delocalizzato le fabbriche che rendevano orgogliosi gli abitanti.
“I gilet gialli rappresentano il ritorno della Storia, di questa storia operaia nascosta”, dice Mathieu. La storia operaia a cui fa riferimento è quella che Mathieu mette sullo sfondo del suo romanzo, situato negli anni Novanta e con protagonisti due adolescenti di Hayange, città simbolo dell’industria siderurgica francese, che lo scrittore segue lungo quattro estati (1992, 1994,1996, 1998): c’è la nostalgia e la luce dell’estate, ci sono i corpi vibranti e l’ebrezza della gioventù, ma c’è anche la rassegnazione sociale, l’alienazione, la frustrazione e la disillusione di una Francia abbandonata a se stessa.
“Si parla un po’ troppo frettolosamente di una ‘Francia dell’apertura’ che si oppone a una ‘Francia della chiusura’ e del ripiegamento. Mi sembra invece che ci sia una Francia ben equipaggiata per la mondializzazione e una Francia molto scoperta”, ha spiegato Mathieu al Figaro, riassumendo così il clivage tra Francia metropolitana e Francia periferica. Andrieu sottolinea l’attaccamento alle proprie radici. “A Fessenheim ho scoperto che il 41 per cento dei dipendenti Edf (il colosso dell’energia nazionale, ndr) della centrale erano nati in Alsazia. Il giorno in cui chiuderà, cosa diremo a queste persone? Di abbandonare la loro regione? E la casa che hanno acquistato e di cui non hanno ancora finito di pagare il mutuo a chi la venderanno? La questione dell’attaccamento alle proprie radici non è tenuta in considerazione dai politici nazionali”. Sono i giovani della Francia periferica che Macron non deve dimenticare, quelli che Salomé Berlioux e Erkki Maillard, nel loro ultimo libro, chiamano “gli invisibili della République”.
Cosa c'è in gioco