L'Italia madurista è peggio di uno scandalo: è un dramma politico
Il giro di rumba contro Guaidó è una campana a morto per i parametri della nostra nazione italiana europea occidentale
Lo schieramento dell’Italia governativa con i dittatori, gli ayatollah e compagnia, contro America e Europa è, come direbbe Talleyrand, molto più e molto peggio di uno scandalo, è un problema politico. Tralasciamo le cose ovvie. Maduro è una deriva del chavismo, che a sua volta era una deriva ibrida di castrismo e peronismo: non è un uomo di stato riconosciuto dalle democrazie, o un rivoluzionario se è per questo, è un capotribù che a mezzo della violenza e della corruzione, della demagogia e dello sfruttamento cinico delle risorse nazionali, implicando l’esercito nella combriccola, ha distrutto lo stato e la società venezuelani con un colmo di dolore sociale e di morte che tutti possono vedere. Ben meritata, la sua gratitudine al governo italiano suona come un colpo di fanfara sinistro.
Ma il problema politico nasce dove finisce l’indignazione, per quanto giustificata. La diplomazia italiana o quel che ne resta cerca di vendere la faccenda come può, in sintonia con il facente (strane) funzioni che sta a Palazzo Chigi, e per la cura del ministro degli Esteri: siamo comunque nel gruppo di contatto con i paesi che hanno riconosciuto Guaidó, procediamo con i piedi di piombo per ragioni di politica domestica (cioè le fanfaronate stridule degli antigringos cinquestelle contro la posizione del Truce che sacrifica il putinismo automatico al più redditizio, pensa, bolsonarismo e trumpismo), e non disperiamo di aggiustare le cose e svolgere una funzione in un braccio di ferro che prevede punti di caduta e di mediazione sia da parte della Casa Bianca sia da parte di Mosca e alleati turchi cinesi iraniani. Intanto la dichiarazione abbastanza chiara del presidente della Repubblica, “dobbiamo stare con chi chiede una autentica democrazia e al fianco degli alleati storici della nazione”, appare come un elemento di riequilibrio almeno potenziale. Ma fino a una svolta e al riconoscimento di Guaidó, cosa di cui per adesso non si vedono le premesse, a parte auspici impotenti, tutto questo è solo un gioco di apparenze. Noi stiamo con i pessimi, alla coda dei pessimi e del loro pessimo cinismo, siamo schierati contro lo sforzo dei migliori, o dei meno peggio, di approdare a una mediazione fondata su libere elezioni autenticate dalle istituzioni venezuelane residue e dalla comunità internazionale, che guarda attonita al disfacimento brutale di un paese e alle sue conseguenze.
Questo è il vero problema politico. In termini di politica politicante tutto è chiaro. Il Truce è un professionista, si è fatto rapidamente due calcoli: Trump e Bolsonaro e una rimpannucciata democratica per lui valgono in questo momento più di Putin, Erdogan, Xi e Rohani, si cambia felpa e via con la posizione declaratoria anti Maduro.
I somari di grossa cilindrata (copyright Crippa), Di Maio e Di Battista, hanno individuato, in circostanze di tenorismo elettorale, sopranismo altro che sovranismo, uno spazio luminoso sulla carta geografica intorno al quale fare una partita a tamburello, come quando scambiano Auschwitz per Austerlitz. La questione politica dirimente, allarmante, ossessivamente inquietante, è che per adesso hanno vinto loro la mano, il tamburello vale più di tutti i contrappesi che democrazia istituzionale e organi di controllo hanno flebilmente cercato di mettere in campo. Il giro di rumba con Maduro e contro Guaidó non è un giro di valzer, come ce ne sono stati tanti e consapevoli nella storia diplomatica europea, è una campana a morto per i parametri, le coordinate, gli impegni e le alleanze del nostro stato costituzionale, della nostra nazione italiana europea occidentale (e lasciamo pure stare i valori, che sono sempre ambigui). Che fossimo un paese suonato dalla campana dell’ignoranza era chiaro da molti segni anche nella vicenda che ci ha messo in recessione dall’alto di un balcone, ma ora è diverso: suonati come siamo, siamo anche passati dall’altra parte.