Il presidente dell'Assemblea nazionale, Juan Guaidó, attorno ai suoi sostenitori (Foto LaPresse)

Il gruppo di contatto: chi sta con Guaidó e chi no

Maurizio Stefanini

La mediazione internazionale comprende anche i paesi pro Maduro, ma l’equilibrio pende a favore del presidente dell'Assemblea nazionale

Roma. Scaduto l’ultimatum per indire elezioni libere in Venezuela, Regno Unito, Francia, Austria, Germania, Paesi bassi, Spagna, Portogallo, Svezia, Danimarca, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia e Lituania hanno formalizzato il loro riconoscimento a Juan Guaidó. Parigi ha aggiunto: Guaidó è legittimato a convocare lui stesso le presidenziali, e non Nicolás Maduro. Sette di questi paesi stanno nel Gruppo di contatto internazionale sul Venezuela che è stato annunciato dal capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, e dal presidente dell’Uruguay Tabaré Vázquez: primo appuntamento giovedì a Montevideo. 

 

Nel gruppo di contatto c’è anche l’Italia, che come Spagna e Portogallo ha importanti comunità in Venezuela. Ci sono anche quattro paesi latinoamericani, particolarmente bilanciati: Uruguay, Bolivia, Costa Rica e Ecuador. La Bolivia è alleata del Venezuela bolivariano nell’Alba e riconosce Maduro, ma Evo Morales vuole avere buoni rapporti con il brasiliano Bolsonaro, e con lui ha già collaborato sul caso Cesare Battisti. Il Costa Rica è l’unico dei quattro paesi membri di quel Gruppo di Lima che rifiuta Maduro, ma ha un governo di sinistra.

 

L’Ecuador non sta nel Gruppo di Lima, ma il presidente, Lénin Moreno, dopo aver rotto con la posizione filo-chavista del suo predecessore Rafael Correa, è uscito dall’Alba e ha riconosciuto Guaidó. Il governo di sinistra dell’Uruguay aveva riconosciuto Maduro ma al suo insediamento aveva mandato una delegazione di basso livello, e poi si è offerto per una mediazione. In origine questa era stata pensata assieme al governo di sinistra messicano di Andrés Manuel López Obrador, che rompendo con la linea anti Maduro del suo predecessore lo ha riconosciuto: anche lui però inviandogli una delegazione di basso livello, e senza formalmente uscire dal Gruppo di Lima.

 

Questo gruppo di contatto acquisisce così un profilo intermedio, equilibrato, tra l’immagine anti Maduro assunta dall’Unione europea in grande maggioranza e la linea pro Maduro della originaria mediazione di Messico e Uruguay. Ma nel suo insieme questo equilibrio tende a pendere sempre di più contro l’erede di Chávez. Domenica il presidente americano, Donald Trump, ha detto in un’intervista alla Cbs che “l’opzione militare” è sempre sul tavolo. Ma già da venerdì avevano iniziato a trapelare alcuni particolari su un’operazione che durante la grande manifestazione di sabato Guaidó ha formalizzato con una richiesta di aiuto umanitario.

 

Gli Stati Uniti considerano lui il legittimo presidente. John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione Trump, ha annunciato la partenza di carovane di aiuti umanitari per il Venezuela, preparate da Usaid. Alcuni ulteriori particolari sono poi trapelati sulla stampa. Altri sono stati dibattuti in ambienti cui il Foglio ha avuto accesso. Ci sarebbero tre punti di ingresso per l’aiuto internazionale: Cúcuta in Colombia, Roraima in Brasile, un’isola olandese dei Caraibi, Aruba o Curaçao. L’aiuto sarebbe destinato a circa 300 mila persone: malati di cancro, bisognosi di dialisi, altri affetti da malattie gravi. Per loro arriverebbero medici, materiale chirurgico, medicine, generi alimentari. Tra gli accompagnatori ci sarebbero anche militari venezuelani esuli che si sono dichiarati con Guaidó.

 

Maduro ha già detto ovviamente che questo aiuto non lo vuole: “Non siamo mendicanti!”. Ha pure nominato un “protettore dello stato di Táchira” contro questo rischio di “invasione” dal confine colombiano: si tratta di Freddy Bernal, un ex poliziotto che è tra i pochi gerarchi storici del chavismo ad avere ancora un minimo di popolarità. Ma Bernal o chi per lui si troverà di fronte allo scenario così descritto da Jesús Seguías, presidente dell’agenzia di analisi internazionale Datincorp, e fino a pochi mesi fa critico sull’ipotesi di escalation militare in Venezuela da lui considerata particolarmente destabilizzante: di fronte alle “brigate umanitarie”, se Maduro dà l’ordine di sparare e i militari obbediscono, determina il perfetto casus belli per fare la fine di Noriega o Saddam. Se i militari disobbediscono, si innesca la rivolta che pone fine comunque al suo regime. E se infine decide di lasciar passare le “brigate”, nella previsione di Seguías, “la maggioranza dei venezuelani inizia a ricevere alimenti e medicine. Il delirio popolare non avrà precedenti nella storia del Venezuela”. E Maduro ne verrebbe travolto comunque.

Di più su questi argomenti: