La risposta di sinistra a “America First”
Nelle radici filosofiche dei democratici americani è già scritto il manifesto per ribattere a Trump, e sa di patriottismo. La proposta di Berman
Pubblichiamo la terza e ultima puntata di una serie sulla sinistra americana scritta dall’intellettuale Paul Berman per il magazine online Tablet.
La sinistra americana è da sempre molto ricca di filosofia politica: tale ricchezza si ritrova in particolare in due libri che ben rappresentano questa nostra stagione, uno del compianto Richard Rorty e l’altro di Michael Walzer. Forse il libro di Rorty non rappresenta del tutto questo momento: “Achieving Our Country: Leftist Thought in Twentieth-Century America” è uscito nel 1999 (in Italia edito da Garzanti, con il titolo “Una sinistra per il prossimo secolo. L’eredità dei movimenti progressisti americani del Novecento”) ed è rimasto a sonnecchiare per 17 anni, fino al catastrofico giorno delle elezioni del 2016. Lì il libro si è risvegliato e “Achieving Our Country” è diventato un caso editoriale: ancora oggi vende abbastanza bene per un saggio di questo genere.
Questo successo è dovuto a un solo passaggio, a pagina 90, in cui Rorty si chiede che cosa accadrebbe se, un giorno, i sindacalisti e gli operai non specializzati, le persone che non vivono nelle periferie agiate, si accorgessero che nessuno, nel governo americano e tra le élite, cerca di proteggerli dalle conseguenze economiche e sociali degli sviluppi industriali moderni. Rorty scriveva: “A quel punto, qualcosa si spezzerà. L’elettorato più lontano dalle città deciderà che il sistema è fallito e inizierà a cercare un uomo forte per il quale votare – qualcuno disposto ad assicurare che, una volta eletto, i burocrati compiaciuti, gli avvocati furbi, i venditori di bond strapagati e i professori postmodernisti non avranno più potere”.
“Si potrebbe così riprodurre uno scenario come quello descritto nel romanzo di Sinclair Lewis ‘It Can not Happen Here’ (edito in Italia da Passigli con il titolo “Da noi non può succedere”). Una volta che questo uomo forte entrasse in carica, nessuno potrebbe più prevedere cosa accadrebbe. Nel 1932, la maggior parte delle previsioni su ciò che sarebbe accaduto se Paul von Hindenburg avesse nominato cancelliere Adolf Hitler era estremamente ottimista. Una cosa che è molto probabile che accada è che i vantaggi ottenuti negli ultimi quaranta anni dai neri e dai latini o dagli omosessuali siano spazzati via. Il disprezzo goliardico nei confronti delle donne tornerà di moda. Le parole ‘negro’ e ‘kike’ saranno di nuovo pronunciate nei posti di lavoro. Tutto il sadismo che la sinistra accademica ha cercato di rendere inaccettabile presso i suoi studenti inonderà di nuovo la società. Tutto il risentimento che gli americani meno istruiti sentono quando devono sorbirsi lezioncine dai laureati troverà un nuovo sbocco”.
Rorty era un genio. Il suo capolavoro non è soltanto “Philosophy and The Mirror of Nature” (edito in Italia da Bompiani con il titolo “La filosofia e lo specchio della natura”), è questo passaggio! Il suo obiettivo in “Achieving Our Country” era quello di far rivivere una sinistra americana che, a suo avviso, aveva preso una strada sbagliata negli anni Sessanta e Settanta, e che era finita in un fosso. Rorty applaudiva il progresso sociale inaugurato in quegli anni e vedeva una virtù parziale in quella che potrebbe essere descritta come una politica dell’identità e una cultura del politicamente corretto, che erano i prodotti di quel periodo. L’accademia di sinistra iniziò a esistere davvero e Rorty fu felice di vedere che i professori universitari avevano iniziato a istruire i loro studenti a tenersi lontani dalla crudeltà personale.
Ma la scuola di sinistra commise un errore. Cadde sotto l’influenza dei professori postmodernisti, che guidavano i loro adepti in un’infinità di mini-casi e di controversie sul linguaggio. Finì per perdere di vista lo scopo principale di ogni movimento di sinistra, che dovrebbe essere la maxicausa della classe operaia. E Rorty propose una correzione.
Era un po’ timoroso nel descrivere la propria proposta, e un po’ superbo. Voleva riabilitare le tradizioni politiche e la visione del mondo che aveva assorbito da bambino (era nato nel 1931) in famiglia, nelle quali la storia della sinistra americana appariva gloriosa. Suo nonno era Walter Rauschenbusch, il teologo battista dell’inizio del XX secolo, che proponeva quello che veniva chiamato il “gospel sociale”, o il socialismo cristiano. Il padre di Rorty, James Rorty, era un letterato, un poeta e un saggista, e aveva avuto un ruolo vivace nella cerchia di intellettuali socialisti o socialdemocratici che gravitava attorno al filosofo Sidney Hook, che era lui stesso un protetto del più grande o, almeno, del più americano dei filosofi americani, John Dewey. Le persone intorno a Hook erano campioni del movimento operaio, in versione esaltata, e questo li spingeva a essere nemici dei movimenti totalitari di ogni tipo, di destra e di sinistra.
Con contatti familiari di questo tipo, il giovane Dick Rorty si ritrovò a frequentare l’ufficio di Harlem di A. Philip Randolph, un eroe particolare, che concentrava nella propria persona tutte le cause del momento: i diritti civili, il lavoro, il socialismo e la difesa della democrazia. Anche da ragazzo, Rorty era un romantico tra i migliori della sinistra americana. In “Achieving Our Country”, la sua idea era di fare per la sinistra americana qualcosa di simile a quello che aveva fatto per la filosofia moderna con “Philosophy and the Mirror of Nature”, che era quello di togliere di mezzo l’obsoleto e l’inutile, e arrivare così al cuore di cose. Voleva mantenere il senso morale e la coscienza sociale di suo nonno, il teologo, e voleva, allo stesso tempo, spazzare via ciò che era meramente teologico.
Voleva mantenere la lealtà sindacale e la partecipazione alle cause per i diritti civili e per l’antitotalitarismo di suo padre e del circolo di Hook, e voleva, allo stesso tempo, togliere di mezzo la grandiosità marxista che compariva nel pensiero di quelle persone, già dagli anni Trenta. Rorty propose invece un poderoso revival delle idee di Walt Whitman espresse in “Leaves of Grass e Democratic Vistas” (edito in Italia da Mondadori, con il titolo “Foglie d’erba”). Whitman considerava l’America stessa come una specie di religione, ma senza una teologia: una religione laica e poetica della democrazia, con un’aspirazione per la giustizia sociale e la liberazione dell’individuo, e un’ulteriore aspirazione alla liberazione del mondo intero. Nel pensiero di Rorty, un patriottismo americano progressista che si sviluppa lungo le linee di Whitman sarebbe in grado di riunire l’infinità di politiche di identità della sinistra moderna e di rendere il pluribus in un unum americano, accessibile a tutti.
Rorty voleva rinvigorire la filosofia della democrazia che John Dewey aveva tratto in parte da Whitman – la democrazia come un progetto eterno di progresso sociale senza fine, la democrazia come stile di vita e modo di pensare – e che divenne l’idea di Hook e anche la sua. E pensava che, se solo quelle antiche ispirazioni avessero potuto rinascere, avrebbero potuto generare la nuova sinistra che stava cercando – la nuova sinistra che avrebbe assimilato tutto ciò che di buono e di utile era uscito dalla New Left negli ultimi decenni, e che avrebbe cancellato tutto ciò che era nocivo e sciocco, e avrebbe rinnovato il legame di sinistra da tempo perduto con la classe operaia, e avrebbe permesso così di difendersi dalla demagogia in stile Trump che già si stava instaurando nelle zone lontane dalle città.
Come sarebbe la giustizia sociale agli occhi di una nuova sinistra? Michael Walzer ha qualcosa da dire su questo. In “A Foreign Policy for the Left”, il filosofo descrive le estreme semplificazioni della sinistra americana riguardo agli affari internazionali, che ha portato molti a pensare che tutto ciò di brutto è accaduto nel mondo è colpa dell’America, e a supporre che l’America non farà mai nulla di buono. Walzer critica questo approccio, sostiene che a volte il potere americano, persino il potere militare, può essere utilizzato in modo utile, seppur attraverso una costante autoanalisi e una scrupolosa cautela. Ritiene che gli interventi umanitari possano a volte essere una buona idea, in circostanze estreme. Ci ricorda che la solidarietà democratica tra tutti i continenti scorre nelle vene americane.
Osserva con ammirazione i radicali jacksoniani della metà del XIX secolo che volevano che i democratici americani intervenissero in qualsiasi modo in nome dei rivoluzionari europei assediati nel 1848, anche se fa una distinzione tra interventi umanitari, che non dovrebbero essere militari, e solidarietà democratica, che non dovrebbe essere militare. Ma soprattutto propone un metodo di pensiero in opposizione alle regole dogmatiche e ricorda che i cattivi vengono sempre in coppia, come provenissero da lati opposti della stanza, il che significa che dobbiamo contemplare battaglie contro due nemici alla volta, non solo per esempio i terroristi islamici e i tiranni, ma anche i fanatici antislamisti. Tra i tanti libri di Walzer, uno dei più influenti è “Just and Unjust Wars”, sull’etica della guerra (il suo punto è che anche la guerra richiede un giudizio etico), diventato un caposaldo dell’istruzione militare americana.
Per quanto riguarda la giustizia sociale, Walzer pone una domanda che quasi nessuno pone: cos’è la giustizia sociale? Tutti sostengono di essere a suo favore – essere di sinistra vuol dire occuparsene – ma che cos’è? Walzer propone una risposta che, nella lunga storia delle sinistra politica, potrebbero aver già proposto altri scrittori e filosofi, ma nessun altro sembra aver fornito un’analisi altrettanto chiara ed elegante. La giustizia sociale è molte cose, e non una sola; e le molte cose meritano il nostro rispetto. Questa è la sua tesi. Discute di John Rawls, il quale ritiene che la giustizia sociale sia ciò che le persone ragionevoli vorrebbero che fosse, se solo avessero l’opportunità di chiederselo; discute anche di Karl Marx, il quale pensa che la giustizia sociale sia fondamentalmente una questione di soldi. Rawls e Marx sono platonici, secondo Walzer. Credono nell’Uno.
La giustizia sociale ai loro occhi è una cosa sola. Walzer è un antiplatonico. Ritiene che, anche se le opinioni di persone ragionevoli sono ragionevoli, e anche se il denaro è indispensabile, la giustizia sociale significa varie cose, tutte importanti o addirittura cruciali. Ci sono questioni di ricchezza, ma anche di accesso all’istruzione, o alle opportunità professionali e personali, o ai parchi pubblici, o alle arti, o alla libertà religiosa, o al riconoscimento e alla dignità agli occhi di altre persone. E, se la giustizia sociale significa diverse cose, ci devono essere diversi modi per ottenerla. Propone, tra questi diversi modi, di liberare la sinistra da se stessa, di liberare la sinistra dalle sue antiquate categorie che risultano troppo strette per accogliere l’ampiezza della natura umana. Su questo punto, la sua idea e quella di Rorty sono uguali. Rorty ci dice di liberarci dalle folli mitologie di una certa sinistra dell’ultimo mezzo secolo. E Walzer ci dice come dovremmo pensare, una volta raggiunta la liberazione, come pensare in modo complesso, adatto a un mondo pluralista, con “l’uguaglianza complessa” come obiettivo. Ma c’è posto per questo tipo di pensiero in questo momento, nel mezzo della battaglia? Penso che posto ci sia. C’è certamente una necessità.
II
Negli ultimi 150 anni circa, la sinistra americana è progredita secondo un modello quasi matematico di onde, un’onda dopo l’altra: ondate di insurrezione popolare, che si precipitano in avanti e si attardano un po’, poi vengono tirate indietro da una brutta risacca e da altre forze, solo per correre di nuovo in avanti, una generazione dopo. Ci sono state quattro onde nel passato, negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento; negli anni Dieci del Novecento e poi negli anni Trenta e Quaranta e negli anni Sessanta e Settanta, proseguendo negli anni Ottanta e forse oltre. Una quinta ondata è alle porte in questo momento: la nuova insurrezione iniziata con Occupy Wall Street nel 2012 è proseguita con la rivoluzione politica di Bernie Sanders, con la Marcia delle donne e ha recentemente portato molte persone nel Partito democratico. Ogni onda ha generato la sua risacca distruttiva.
Il senatore ed ex candidato alle primarie del Partito democratico Bernie Sanders (Foto LaPresse)
La risacca è spesso stata caratterizzata da una svolta verso la violenza, o verso un sogno di violenza, o verso un sostegno alla violenza di massa di movimenti in altri continenti, o verso un sogno di un’eliminazione di massa. Nel 1880, ci fu una svolta da parte dell’ala anarchica del movimento operaio che distrusse il ben più ampio movimento operaio. Alla fine degli anni ’10 c’è stato un allontanamento dalla sinistra democratica e laburista in favore della dittatura bolscevica che, assieme alla recrudescenza del terrorismo, distrusse il partito socialista e danneggiò diversi sindacati.
Negli anni ’30 e ’40, Joseph Stalin ha goduto di una tetra popolarità presso un’ampia parte della sinistra che ha causato innumerevoli disgrazie in America. Alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, c’è stata una tendenza alla guerriglia marxista e alla costituzione di minipartiti maoisti tra gli studenti in un’ala del movimento nero, che in gran parte distrusse la New Left di quegli anni. In questo momento, c’è l’ossessione per l’eliminazione dello stato ebraico, o, almeno, l’ossessione per rendere lo stato ebraico oggetto di un’unica infamia, con le conseguenze che vedremo in futuro, o che forse stiamo già vedendo.
I sostenitori della sinistra attratti da queste cause perverse hanno sempre pensato che le loro motivazioni fossero la compassione, la solidarietà, o una fedeltà più sentita di quella per gli altri princìpi di sinistra. Qualcosa di psicologico è sempre entrato in queste motivazioni. È un impulso a superare l’eccitazione della ribellione coltivando il brivido proibito della trasgressione violenta. È ribellione trasformata in nichilismo. E così qualcosa di teoretico è entrato nella motivazione. È il fascino delle dottrine di sinistra che, nell’invocare attacchi violenti e l’eliminazione di popolazioni intere, sembra aver ottenuto una affascinante semplicità d’analisi.
Queste sono le dottrine che potrebbero invocare la distruzione completa della classe imprenditoriale (per quanto riguarda l’anticapitalismo brutale) o quella dei contadini ucraini (che era il programma di Stalin) o degli ebrei in medio oriente (che è il programma anti sionista). La piuma sul cappello del prestigio individuale si può apporre a queste semplicità scioccanti – una piuma d’avanguardia tale per cui maggiore è il fascino maggiore è la distruzione.
Ma queste sono le idee delle correnti carsiche della sinistra, le idee che superano la sinistra, le idee che rappresentano una qualche specie di ribellione contro la sinistra. La filosofia autentica della sinistra, la sinistra americana, è completamente differente – mi riferisco alla filosofia dominante, che ha governato l’immaginario politico di ondate di insurrezionalismo di sinistra. La filosofia autentica non è quella del nichilismo. Non è un programma per eliminare qualcuno. E’ un programma per includere tutti. E’ un’idea di rivoluzione americana – un’idea di democrazia come un progetto universale e rivoluzionario, che continua a espandersi e ad approfondirsi.
Questo tipo di pensiero può apparire a volte un poco debole, se paragonato alle filosofie dell’eliminazione violenta – può sembrare quasi sentimentale, o quasi come una fiaba popolare, o come un tentativo di conformarsi agli stilemi della cultura americana. Può sembrare come qualcosa senza contorni – come una serie di denominazioni flebili, buone per la retorica ma non per il vero pensiero. Ma non c’è ragione per cui la vera filosofia della sinistra americana debba sembrare flebile, sentimentale, non sofisticata o esile. Questo era l’argomento di Rorty in “Achieving Our Country”. Le idee hanno una fisionomia definita.
Sono le idee dei più grandi pensatori americani, da Whitman a Dewey e ai compagni di Dewey e ai suoi eredi filosofici, fino a Rorty e ai suoi sodali. Le idee sono quelle del liberalismo di sinistra, con qualche accenno di teoria della storia. Si rifanno al liberalismo perché offrono una filosofia dei diritti umani. E si rifanno al liberalismo perché offrono una filosofia delle procedure – le procedure della legge, o dell’investigazione filosofica, come nel pragmatismo di Rorty, o nell’analisi etica, come nel pensiero di Walzer.
Ancora, si rifanno alla sinistra perché la solidarietà sociale e l’egualitarismo sono nei loro princìpi, e non soltanto i diritti e le procedure. Si rifanno alla sinistra perché il lavoratore è il loro ideale sociale, il lavoratore che produce, e non l’aristocratico o l’erede arricchito, che non fa niente. Le idee hanno un accenno di teoria della storia perché – almeno nella versione di Whitman – postulano che tutto il passato dell’essere umano ha preparato il futuro democratico; e che la storia del progresso sociale in America è in armonia con la verità interiore della civiltà; e che ciò che è vero dell’America è vero del mondo intero. La filosofia della sinistra americana è quella che Rorty descrive e Walzer esemplifica.
Si rifà a qualcosa di più grande del marxismo. In linea di principio, dovrebbe conferire una forza alla sinistra americana che di recente ha cominciato a fiorire in maniera così notevole – una forza doppia, se soltanto qualcuno volesse farne fruttare le possibilità. Il liberalismo di sinistra dovrebbe rendere facile riconoscere le assurdità di chi ammira Vladimir Putin (gente del genere esiste) o ammira Hugo Chávez (esiste anche gente del genere) o concentra la propria rabbia contro uno stato piccolo e lontano che guardacaso è lo stato ebraico. La filosofia della sinistra americana dovrebbe rendere semplice l’identificazione di queste persone, e semplice metterle all’angolo come meritano, e semplice per la sinistra americana alzarsi e proclamare il proprio messaggio.
Questo dovrebbe essere il patriottismo, secondo l’idea di Rorty. Non dovrebbe essere un patriottismo insensato – un patriottismo della bandiera e degli slogan e degli stupidi cori “U-S-A”. Dovrebbe essere un patriottismo ricco e interessante – un patriottismo che si prende la briga di analizzare e definire le idee e i princìpi della sinistra liberale, e insistere nell’identificare queste idee e princìpi con l’America stessa. Chiunque sa che, nelle battaglie politiche che verranno, i democratici e i repubblicani finiranno per combattere sul significato dello slogan di Trump, “America First”. Ma qual è l’alternativa ad “America First”, e i democratici sarebbero in grado di presentarla?
Negli anni Quaranta, “America First” esprimeva la simpatia americana per il fascismo. E l’opposizione ad “America First” venne da persone con esperienze nel vecchio Partito socialista, che formarono una commissione propria. Questo genere di cose è esattamente quello che Rorty aveva in mente in “Achieving Our Country” quando ha osservato che il patriottismo americano è la vera casa della sinistra.
Il presidente Donald Trump in un comizio in Tennessee (Foto LaPresse)
Perché l’opposizione ad “America First” nel nostro tempo non dovrebbe ugualmente essere guidata da persone di sinistra? I democratici d’establishment non lo faranno mai nella maniera giusta, e questo perché, essendo democratici d’establishment, sono soprattutto dei politici, e sono sintonizzati sui sondaggi, che non è la stessa cosa che essere sintonizzati con la grandezza della civiltà americana. Ma i democratici più ribelli, se sono persone di sinistra, dovrebbero essere in grado di identificare questa grandezza. Gli insorgenti dovrebbero vedere qualcosa di grande ed emozionante e profondo nelle idee patriottiche.
Il patriottismo dovrebbe essere la loro causa, e loro dovrebbero guidare la carica. Dovrebbero guidare una carica contro gli antisionisti e contro le incrostazioni chaviste, che pensano di essere di sinistra o progressisti. E, avendo messo in chiaro il loro programma, dovrebbero essere loro a guidare la carica contro “America First” – guidare la carica ricordando all’America i suoi migliori princìpi, che sono anche i loro princìpi, che si riferiscono alla democrazia in tutta la sua complessità e nelle sue procedure e aspirazioni. Ma non pretendo di descrivere l’esistente. Sto descrivendo idee che trovo nei libri, possibilità che potrebbero diventare proposte. Le sottopongo a quel pubblico enorme che costituisce la sinistra americana.
Per gentile concessione di Tablet Magazine che ha pubblicato in inglese questo articolo su tabletmag.com
Questo testo chiude la serie di articoli sulla sinistra americana che abbiamo pubblicato il 12 e il 26 gennaio 2019 scorsi e che si possono trovare sul foglio.it