Un gruppo di manifestanti contro il governatore della Virginia Ralph Northam a Richmond (foto LaPresse)

Blackface e #metoo, perché i dem sono disperati in Virginia

Daniele Raineri

Il governatore è accusato di razzismo, il suo vice di stupro, il terzo in comando di razzismo pure lui. I repubblicani gongolano

New York. C’è una crisi costituzionale in Virginia, uno stato americano da otto milioni e mezzo di abitanti governato dai democratici. Il governatore Ralph Northam è assediato da richieste corali di dimissioni perché sulla sua pagina personale nell’albo dell’università c’è la foto di uno vestito da Ku Klux Klan che abbraccia uno travestito da nero, quindi con la faccia dipinta di nero – che è considerato un gesto dalle gravi connotazioni razziste. Northam ha detto che non si riconosce nelle due persone presenti nella foto, ma ha ammesso che una volta alla stessa età nel 1984 si è travestito da Michael Jackson e quindi si è dipinto la faccia di nero. Lo ha detto per evitare di negare l’autenticità di quella prima foto e poi essere contraddetto da qualche altra foto di lui che circola. Se si dimettesse la carica di governatore della Virginia passerebbe al suo vice nero, Justin Fairfax, che però due giorni fa è stato accusato di violenza sessuale da una donna che nel 2004 era volontaria del Partito democratico. Fairfax la portò in una camera d’albergo, i due si baciarono ma a quel punto lui obbligò lei con la forza a un rapporto orale. Fairfax nega e per ora non ci sono prove, ma è chiaro che è in una situazione molto precaria. A ottobre i democratici montarono una campagna micidiale contro il giudice Brett Kavanaugh, nominato dal presidente Trump alla Corte Suprema e accusato di tentato stupro, e persero perché non c’erano prove che potessero corroborare la testimonianza della sua accusatrice. Fu una vittoria per il presidente e tuttavia il messaggio che il Partito repubblicano era schierato contro le donne fece breccia nell’elettorato, che infatti alle elezioni di metà mandato del 7 novembre (subito dopo il caso Kavanaugh) ha premiato molte donne democratiche. Se Northam e Fairfax si dimettessero la carica di governatore in teoria passerebbe a Mark Herring, l’attorney general della Virginia, che aveva chiesto a Northam di rassegnare le dimissioni per la blackface ma due giorni fa ha ammesso di avere fatto la stessa cosa anche lui, quando nel 1980 a diciannove anni andò a un party in maschera assieme ai suoi amici vestito da rapper. Herring nel 2021 sarebbe stato il candidato del partito per sostituire il governatore Northam. L’intera catena di comando democratica in questo momento è fuori servizio, incastrata dagli standard che i democratici hanno creato e che ora non possono disattendere (o meglio: possono ignorare gli standard che hanno creato ma pagherebbero un prezzo politico molto alto). I repubblicani si godono lo spettacolo, incluso il presidente che in un paio di tweet ha preso di mira il governatore e gli altri. I democratici della Virginia passano da una riunione a porte chiuse all’altra, sempre incerti se aspettare che il caso si plachi oppure se rassegnarsi alla fine del loro governo locale. I primi due accusati si stanno difendendo, in qualche modo, mentre il terzo, Harring, ha scritto un lungo messaggio in cui confessa l’errore e si rimette alla clemenza del pubblico. Infine, tanto per completare il quadro, un sergente di polizia messo a sorvegliare i manifestanti che chiedono le dimissioni del governatore davanti alla sua porta da ieri è stato sospeso perché è sospettato di avere legami con i gruppi del nazionalismo bianco.

 

Dipingersi la faccia di nero è un peccato di minstrelsy, spiega il New Yorker, vale a dire ricorda gli show dell’Ottocento in cui talvolta i bianchi si truccavano da neri e ne facevano imitazioni poco lusinghiere del genere “lo schiavo scemo ci fa ridere”. In Italia, dove il razzismo non è un argomento che scatena lo stesso allarme, sembra una cosa da poco. In America dove le offese reali o percepite contro le minoranze hanno una potenza molto maggiore il blackface ha il potenziale per stroncarti la carriera politica.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)