Cosa c'è dietro al tentativo di ricatto nei confronti di Bezos
Il National Enquirer, che per primo pubblicò i messaggi privati del fondatore di Amazon e la sua amante, ha minacciato di pubblicare le sue foto osé. Lui ha risposto con una lettera pubblica su Medium. Cosa c'entrano Trump e i sauditi in questa storia?
Ieri alle sei del pomeriggio Jeff Bezos, fondatore di Amazon e editore del Washington Post, ha pubblicato una spiegazione lunga sul sito Medium per denunciare che hanno tentato di ricattarlo. Per capire cosa è successo bisogna andare al 10 gennaio quando Bezos aveva annunciato il suo divorzio dalla moglie MacKenzie e poche ore dopo il tabloid National Enquirer aveva rivelato la sua storia con la giornalista Lauren Sanchez – e aveva allegato anche alcuni messaggi intimi che Bezos aveva scritto all’amante.
Bezos, uno degli uomini più ricchi del mondo, aveva ordinato al capo della sicurezza di Amazon Gavin De Becker (uno dei suoi collaboratori più fidati) di scoprire come il tabloid era riuscito a ottenere i suoi messaggi personali. “Lo conosco da vent’anni, dice Bezos a proposito di De Becker, è uno dei più abili nel suo campo e gli ho detto di procedere con qualsiasi budget ritenesse di avere bisogno”. De Becker si è messo al lavoro con la sua squadra e risorse infinite a disposizione ed evidentemente in poco tempo è riuscito a scoprire molte cose. Bezos dice che “ci sono altre indagini indipendenti in corso”, anche se non specifica da parte di chi. Non si sa ancora cosa ha trovato De Becker, ma dal messaggio pubblico di Bezos per ora si capisce che c’è un nesso tra il tabloid scandalistico che intercettava i suoi messaggi e il governo saudita.
A questo punto quelli del National Enquirer si sono talmente innervositi per l’inchiesta ordinata da Bezos su di loro e sui loro rapporti con i sauditi che hanno tentato di ricattarlo e prima gli hanno fatto una proposta a voce e poi gli hanno inviato due mail (un grande errore, perché sono una prova) in cui descrivono sette foto nude di Bezos di cui sono in possesso – perché probabilmente le aveva sul telefonino – e gli intimano di sospendere le indagini altrimenti le pubblicheranno. Probabilmente pensavano di essere in una posizione di vantaggio, ma si sbagliavano.
Bezos ha risposto ieri sera con il messaggio pubblico intitolato “No grazie Mr Pecker”, rivolto a David Pecker padrone di American Media che possiede l’Enquirer, in cui dice che non ha paura, pubblicassero pure le sue foto e allega le due mail ricattatorie che ha ricevuto. “Se persino un uomo nella mia posizione deve sottomettersi a un ricatto allora chi potrebbe resistere?”, chiede con tono di sfida.
Nella storia si accenna a un possibile coinvolgimento di Trump. Bezos dice che essere l’editore del Washington Post per lui è un “complexifier”, una cosa che gli complica la vita, perché molte persone che finiscono negli articoli del Post sono molto scontente e vogliono vendicarsi. Ma, aggiunge, fare l’editore del Washington Post è una missione di cui non si pentirebbe nemmeno se le cose continuassero ad andare così – con scossoni e attacchi – fino a quando avrà novant’anni, e forse si capisce perché domenica scorsa Bezos ha pagato una pubblicità costosa durante la partita del Super Bowl per spiegare che i giornali sono importantissimi.
David Pecker, padrone del tabloid, ha sempre coperto Trump e ha sempre insabbiato gli scandali che riguardano il presidente con la pratica del “catch and kill”: acquista i diritti esclusivi di una storia scandalistica e poi invece che pubblicarla la chiude in cassaforte. E secondo le sue stesse parole ha una cassaforte piena. Bezos agita ora il sospetto che il National Enquirer sia andato a caccia dello scandalo che lo riguarda perché come sanno tutti Trump detesta Bezos e odia il Washington Post. E infatti quattro giorni dopo lo scoop del National Enquirer contro Bezos (la pubblicazione dei messaggini personali) Trump gongolava su Twitter e scriveva che “un giornale molto più affidabile del Post” aveva pubblicato materiale scottante sul capo di Amazon.
Il fatto che in questa storia c’entrino qualcosa anche i sauditi, alleati di Trump e nemici giurati del Washington Post perché sono accusati di avere ucciso un suo editorialista – Jamal Khashoggi, attirato dentro il consolato saudita a Istanbul e fatto a pezzi – non fa che aumentare le attese sul seguito della storia. Se venisse fuori anche soltanto un piccola prova che il presidente era a conoscenza di questa vicenda – il tentativo di Pecker di ricattare Bezos con le sue foto di nudo perché Bezos ha scoperto un misterioso legame tra il National Enquirer e i sauditi – l’indagine in corso sulla possibile collusione con i russi diventa al confronto un passatempo piacevole.
Dalle piazze ai palazzi