In Spagna il governo Sánchez non ha più la maggioranza
Si avvicinano nuove elezioni, e un bipolarismo inedito
Milano. Fin da ieri mattina sembrava che fosse soltanto una questione di date. Il governo spagnolo, guidato dal socialista Pedro Sánchez, sarebbe caduto, e c’era da decidere soltanto il giorno delle elezioni anticipate: meglio togliersi subito il pensiero e farle il 14 aprile? meglio il 28, o meglio fare un election day-monstre il 26 di maggio, e dare agli elettori spagnoli un tomo di schede elettorali per europee, regionali, comunali e pure per le politiche?
Poi è arrivata la conferma, a metà giornata: il Parlamento ha respinto la legge Finanziaria di Sánchez (per meglio dire: ha approvato gli emendamenti che la schiantavano) e ha certificato che il governo socialista non ha più una maggioranza. Dopo due giorni di dibattito, 191 deputati hanno votato contro la legge di Bilancio (dunque per gli emendamenti), 158 a favore e uno si è astenuto. Il voto è stato importante non soltanto perché ha sancito la fine plausibile della legislatura, ma anche perché delinea il nuovo bipolarismo che probabilmente dominerà la scena politica: da un lato socialisti e sinistra estrema (Podemos e frattaglie), dall’altro Partito popolare, Ciudadanos e un intruso, pronto a entrare nel nuovo Parlamento: i neofascisti di Vox.
Dei due poli, è quello di destra il più sorprendente. Potremmo definirlo “coalizione Andalusia”, dal nome della prima regione dove è stato sperimentato con successo: il Partito popolare (Pp), da sempre forza egemone del conservatorismo spagnolo, ha ormai perso quasi la metà dei suoi voti, ed è costretto a mutare in una forza più estrema, che strizza l’occhio ai populisti. Ciudadanos si è spostato definitivamente a destra, dopo anni in cui aveva tentato di presentarsi come una forza liberale e trasversale, tanto che fino a un anno fa il leader Albert Rivera era considerato un partner ideale per il socialismo moderato di Pedro Sánchez. Rivera ha sancito il patto definitivo con la destra domenica scorsa, nella ormai celebre fotografia di plaza de Colón, a Madrid, dove si è lasciato immortalare assieme a Pablo Casado del Pp e soprattutto a Santiago Abascal di Vox, che fino a poche settimane prima ancora trattava da paria. Io non collaboro con gli estremisti, diceva Rivera: pochi giorni dopo, ecco le foto di gruppo.
L’altro polo, se così si può chiamare, è altrettanto imbarazzato, ma più abituato alla convivenza. Dopo aver tentennato per anni tra il centrismo e le estreme, Pedro Sánchez ormai da mesi vive in coabitazione con la sinistra radicale di Podemos e con gli altri partiti più o meno comunisti. La formazione guidata da Pablo Iglesias, infatti, si è rivelata un alleato più malleabile del previsto (complice anche le continue divisioni interne) tanto che, per esempio, al contrario dei Cinque stelle italiani, non ha fatto troppe storie quando il governo ha riconosciuto Juan Guaidó alla presidenza del Venezuela scaricando Nicolás Maduro, vecchia fiamma del podemismo. Sánchez vorrebbe coprirsi a sinistra e poi cercare di conquistare l’elettorato centrista disgustato dall’alleanza di Ciudadanos con Vox, ma per ora i risultati sono scarsi.
Lasciare la Spagna senza Finanziaria, nel frattempo, ha effetti che sul lungo periodo potrebbero diventare pesanti. Senza un nuovo Bilancio è stato riconfermato quello del 2018, ma le grandi manovre di aumento della spesa pubblica, come l’aumento delle pensioni e del salario minimo, sono già state approvate per decreto legge e sono attive. Nella Finanziaria bocciata c’erano invece le nuove tasse che servivano per ribilanciare il deficit, che adesso potrebbe crescere al 2,4 per cento del pil, contro una prospettiva dell’1,3.
Venerdì, dicono i media spagnoli, dopo il Consiglio dei ministri Pedro Sánchez annuncerà la data delle nuove elezioni.