La Spagna corre al voto con strategie diverse. E i mercati?
Partono le manovre elettorali: Sánchez si pone come il candidato moderato e il centrodestra unito spera in una maggioranza. Ma la Borsa non fa una piega
Milano. Il presidente del governo spagnolo, Pedro Sánchez, ha annunciato stamattina la data delle elezioni anticipate. Come molti si attendevano, saranno il 28 aprile, data di compromesso. La campagna elettorale si intersecherà con la settimana santa, che in Spagna è molto sentita, e con le campagne elettorali delle elezioni municipali, regionali ed europee, che si celebreranno in un election day cumulativo il mese successivo. Nonostante questo, Sánchez aveva una certa urgenza di andare al voto, dopo che il Parlamento ha bocciato la legge Finanziaria del suo governo, decretando che non esiste più una maggioranza. (Nota tecnica: non c’è stata formalmente una crisi del governo spagnolo; Sánchez avrebbe potuto rimanere seduto sulla poltrona più alta fino all’esaurimento della legislatura, ma senza i voti in Parlamento per approvare alcunché sarebbe stato un inutile stillicidio di consensi). Il presidente del governo non era l’unico a voler andare al voto il prima possibile. Anche l’opposizione di destra, tutta assieme, ha chiesto un rapido ritorno alle urne.
Sánchez, da un lato, è convinto di avere in mano le stesse carte che ha avuto Mariano Rajoy, il suo predecessore conservatore, che è riuscito a sopravvivere a ben tre tornate elettorali (2011, 2015, 2016) nonostante i consensi costantemente in calo. La strategia di Rajoy, come ha notato Estaban Hernández, editorialista del Confidencial, è sempre stata quella di mostrarsi come una colonna di ragionevolezza e stabilità in un contesto politico in cui i suoi oppositori si radicalizzavano e aprivano al populismo. È un po’ quello che sta succedendo adesso a Sánchez. Lui gode della carica istituzionale, mentre a destra l’apertura ai neofascisti di Vox potrebbe spaventare molti elettori moderati. Il Partito socialista di Sánchez è dato dai sondaggi attorno al 24 per cento, e arriverebbe primo.
A destra, invece, pensano meno alle strategie e guardano alla brutalità dei numeri: i sondaggi dicono che il Partito popolare assieme a Ciudadanos e a Vox supererebbe (di poco, ma lo supererebbe) il 50 per cento dei consensi. Questo non si traduce automaticamente in maggioranza parlamentare, ché la ripartizione dei seggi è complessa, ma è un punto di partenza ottimale. L’unica formazione davvero riluttante ad affrontare il voto è Podemos, che si trova senza leader (Pablo Iglesias teoricamente è in congedo di paternità) e vive in questo periodo la sua peggiore crisi interna, fatta di litigi feroci e dimissioni eccellenti. I sondaggi danno Unidos Podemos, il cartello elettorale fatto assieme ai partitini di estrema sinistra, al 15 per cento.
Un’altra grande forza rimane tuttavia immune al manovrìo politico. È l’economia, che alla notizia delle elezioni anticipate quasi quasi non ha fatto una piega, con le Borse che anzi hanno ottenuto buoni risultati. Il paese va al voto per la terza volta in quattro anni, si è appena concluso il governo più breve della storia della democrazia, i partiti si stanno radicalizzando ma l’economia non tentenna, almeno per ora. Parte di questa sicurezza, dicono gli analisti, è merito dell’Europa. Dopo aver visto le esperienze della Grecia e dell’Italia, in cui governi populisti sono stati riportati a miti consigli sulle scelte macroeconomiche, i mercati si sono convinti che finché Bruxelles sta in piedi siano limitati i danni che un governo può fare. Inoltre, tutti ricordano che l’anno recente in cui la crescita spagnola è stata più elevata (3,2 per cento) è stato il 2016, quando si sono succedute due elezioni in breve tempo e il paese è stato governato in gran parte da un esecutivo facente funzioni.