Autisti in coda in una stazione di servizio della compagnia petrolifera venezuelana di proprietà statale Pdvsa a Caracas (foto LaPresse)

A che punto è la guerra di Trump a Pdvsa e al petrolio di Maduro

Maurizio Stefanini

Dopo la proclamazione di Guaidó collassa l’export e fuggono i tecnici. Ecco chi sostiene gli Stati Uniti e chi opera per il regime

Roma. Si è ridotto dell’80 per cento l’export di petrolio venezuelano negli Stati Uniti. Mercoledì sono arrivati dalla U.S. Energy Information Administration i primi dati dopo che il 28 gennaio il Dipartimento al Tesoro di Washington aveva vietato alla compagnia petrolifera di stato venezuelana Pdvsa di fare transazioni con entità statunitensi. Da 587 mila barili al giorno della settimana conclusa lo scorso 25 gennaio si è passati a 117 mila. E senza contraccolpi negativi per il consumo americano, dal momento che all’8 febbraio gli stock commerciali di greggio negli Stati Uniti erano aumentati di 3,6 milioni di barili, contro una previsione di Bloomberg che non era andata oltre i 2,4 milioni.

   

È presumibile che gran parte di questo flusso residuo non corrisponda a Pdvsa ma a altre società che operano in Venezuela: Chevron, Halliburton, Schlumberger, Baker Hughes e Weatherford hanno avuto il permesso di continuare operazioni con Pdvsa fino al 27 luglio. Tra le altre società presenti c’è Eni. “In Venezuela al momento non abbiamo avuto impatti produttivi (produciamo circa 47 mila barili al giorno) e la situazione ai campi è tranquilla e sotto controllo. Tuttavia continuiamo a monitorare l’evolversi della situazione molto attentamente”, dice un comunicato di Eni dopo la proclamazione a presidente di Juan Guaidó.

   

Secondo il Dipartimento al Tesoro i clienti americani di Pdvsa dovrebbero pagare l’import dal Venezuela in conti di garanzia che ancora non sono stati creati. Così nel Golfo del Messico s’è formata una flotta di petroliere con a bordo 7 milioni di barili di petrolio venezuelano, in attesa di sapere come regolarsi. Si era diffusa anche la voce che per tutelarsi l’americana Citgo – di proprietà di Pdvsa e suo grande cliente – potesse chiedere la bancarotta. Ma la stessa Citgo ha smentito.

 

È comunque il collasso per un Venezuela che dal greggio ricava il 96 delle entrate statali e che prima di Chávez produceva 3,5 milioni di barili al giorno e 1,19 milioni nel 2017. L’Amministrazione Trump prevede che se Maduro non se ne va entro fine 2019 la produzione sarà crollata a mezzo milione di barili. Secondo gli ultimi dati prima della decisione del Dipartimento del Tesoro il 41 per cento del petrolio è esportato negli Stati Uniti, per i quali il Venezuela è il primo cliente, il 25 per cento in Cina, il 22 per cento in India. L’impatto di questo disastro è una diaspora di tecnici petroliferi specializzati che iniziò con i 30 mila espulsi da Chávez quando nel 2003 volle “epurare” la Pdvsa e si è accentuata: emigrare dal Venezuela significa passare da stipendi di 20 dollari a mese a stipendi da 3.500 dollari, e tecnici venezuelani lavorano oramai in almeno una novantina di paesi. In particolare la vicina Colombia ha sorpassato il Venezuela come export petrolifero grazie anche all’apporto di know how di questi migranti qualificati.

 

Ovviamente Guaidó intende rilanciare la Pdvsa, e intanto per il suo governo farsi assegnare dagli Stati Uniti gli utili della Citgo sarebbe una prima preziosa boccata da ossigeno. Dopo la vittoria dell’opposizione Maduro non solo ha tolto i poteri all’Assemblea Nazionale ma le ha anche tagliato i fondi per cui i deputati sono senza stipendio. In quella che appare una risposta il dipartimento del Tesoro americano ha annunciato ieri una nuova tornata di sanzioni contro alti funzionari del governo venezuelano “illegittimo” di Nicolas Maduro che colpiscono anche il presidente di Pdvsa, Manuel Quevedo, bloccandone la disponibilità dei beni negli Stati Uniti. Intanto anche Maduro cerca con affanno di fare le sue mosse. La Cina tra ha raddoppiato il proprio import di petrolio venezuelano tra dicembre e gennaio. Il problema è però che Cina (e India) non pagano in contanti ma scontando prestiti già fatti. Come garanzia per un prestito da 1,5 miliardi di dollari la russa Rosneft aveva ottenuto il 49,9 per cento delle azioni della Citgo. Trump starebbe operando per impedire che i russi se ne possano impadronire.