Allarme socialismo
I repubblicani vorrebbero usare il “Millennial Socialism” contro i dem, ma forse gli fanno un gran favore
New York. Secondo Axios, una newsletter specializzata in politica americana, i repubblicani non vedono l’ora di usare in campagna elettorale la parola “socialisti” contro i democratici. Il presidente Donald Trump ha dato un’anticipazione di questa strategia durante il discorso sullo stato dell’Unione, nel quale ha detto: “Rinnoviamo il nostro impegno: l’America non sarà mai un paese socialista”. Il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, in un’intervista al Wall Street Journal ha detto a proposito della neoeletta democratica Alexandria Ocasio-Cortez: “Credo che questa sia la prima volta che l’essenza dell’America è messa in discussione”. Voleva alludere all’idea che se i democratici vinceranno le elezioni del 2020 allora gli Stati Uniti saranno trasformati in un paese socialista.
“Socialista” è un termine che per convenzione porta subito e senza sfumature intermedie al Venezuela in crisi di Nicolás Maduro o alla battuta immortale di Margaret Thatcher: “Il problema del socialismo è che alla fine i soldi degli altri finiscono”.
Per questo motivo i repubblicani vedono con favore molto interessato i democratici che spostano il partito verso sinistra. La Ocasio-Cortez ha presentato una bozza, poi ritirata, di un grande piano contro il surriscaldamento del pianeta che includeva anche molte misure che i repubblicani possono senz’altro definire “socialiste” davanti ai loro elettori, come la copertura sanitaria garantita dallo stato oppure la promessa di “sicurezza economica anche per chi non vuole lavorare” (poi corretta in una successiva bozza). La candidata Elizabeth Warren ha messo al centro della sua campagna elettorale una proposta di tassazione per le famiglie americane con un patrimonio superiore ai cinquanta milioni di dollari che, secondo lei, genererà nel giro di dieci anni quasi tremila milioni di dollari e potrà pagare ampiamente asili gratis per i bambini di famiglie povere e più abbordabili per tutti gli altri (un bambino costa in media 1.400 dollari al mese a una famiglia americana e questo soltanto perché qualcuno si occupi di lui mentre i genitori sono al lavoro). Tre giorni fa si è candidato ufficialmente Bernie Sanders, che correrà in nome di una “rivoluzione politica” – come la definisce lui – tinta di socialismo, come non mancheranno di far notare i suoi rivali.
Tra i candidati democratici c’è chi si è sfilato subito da questo gioco repubblicano. La stessa Warren ha detto: “Sono una capitalista”, e quattro giorni fa un’altra candidata molto forte, Kamala Harris, ha voluto anche lei precisare: “Non sono una socialista”.
Tuttavia dal calcolo dei repubblicani manca un elemento importante: forse anche perché il ricordo della Guerra fredda si è sbiadito, la parola socialismo non mette più così paura come prima e suona bene, soprattutto per la fascia più giovane dell’elettorato. L’Economist (foto a sinistra) nell’edizione del 14 febbraio lo chiama “Millennial Socialism”, il socialismo dei millennial – anche se avverte che non funzionerà. Nell’agosto 2018, per la prima volta in un decennio di sondaggi Gallup, una maggioranza di elettori democratici ha detto di avere sentimenti più positivi verso il socialismo che verso il capitalismo. Dipingere gli avversari come socialisti quindi potrebbe non essere l’arma perfetta, soprattutto se il socialismo non è più inteso come esproprio dei mezzi di produzione ma come un generico fattore di correzione del sistema economico americano.
La voglia di cambiare uno stato delle cose che molti considerano sbilanciato a favore dei ricchi c’è. Molti elettori si chiedono perché lo stesso sistema Sanitario universale pagato dalle tasse adottato in tantissimi altri paesi avanzati non può essere importato in America (la questione sanità è stata molto importante alle elezioni di metà mandato a novembre 2018). In molti stati ci sono state campagne politiche vittoriose per portare la paga minima oraria a 15 dollari per legge. Quando la Ocasio-Cortez, che i media conservatori amano dipingere come una miniMaduro, ha detto che lei vorrebbe tassare al settanta per cento i guadagni sopra i dieci milioni di dollari (quindi lo stato si prende ogni anno il settanta per cento di quello che guadagni oltre i dieci milioni di dollari) un sondaggio fatto da Fox News, quindi di certo non truccato, ha mostrato che il settanta per cento degli americani sarebbe d’accordo con un aumento delle tasse – e tra loro è d’accordo anche il 54 per cento dei repubblicani. Anche a tasse del settanta per cento? Un altro sondaggio sostiene che il sessanta per cento degli americani sarebbe d’accordo. E pure il piano Warren va forte nei sondaggi, con un’approvazione attorno al sessanta per cento. Il governo americano distribuisce buoni pasto a trentotto milioni di persone, a dispetto del fatto che l’economia va fortissimo, e questo suggerisce che campagne elettorali giocate sul tema di una maggiore equità potrebbero non essere così suicide come vorrebbero dalle parti del presidente Trump.
Questo potrebbe spiegare perché la candidatura di Sanders scatena ancora tanto entusiasmo (e anche molto scontento da parte degli altri democratici che temono divida troppo gli elettori). Il video dell’annuncio è il più visto in assoluto su Twitter e stacca di un milione quello di Kamala Harris, che finora era stato il più visto, e anche la raccolta fondi è andata molto bene nelle prime ventiquattro ore, il che è segno di buona salute del candidato. Una parte dei democratici potrebbe rispondere ai repubblicani che “it’s not a bug, it’s a feature”. Se ci accusate di essere socialisti potremmo anche non offenderci.