A tu per tu con la commissaria
Che piglio, la Vestager, quando ci spiega la “via europea” per il futuro
Dalle multe ai giganti tech alla decisione su Siemens-Alstom. “Abbiamo integrato gli stati nell’Ue, ma non l’Ue negli stati”. Prove da leader dell’Ue
Bruxelles. “Il primo giorno della nuova Commissione” la priorità deve diventare “la nostra economia e la nostra società, che si stanno digitalizzando”: l’Unione europea deve fare una nuova “scelta strategica” che le permetta di replicare nel digitale quella fatta negli ultimi sessant’anni con il Trattato e il mercato unico della libera circolazione di merci, servizi, capitali e lavoratori. Solo attraverso la “via europea” l’Europa può rimanere se stessa e continuare a essere rilevante di fronte a Cina e Stati Uniti. Margrethe Vestager, la commissaria alla Concorrenza diventata una star per le sue multe ai colossi digitali americani per abuso di posizione dominante, temuta per la caccia alle multinazionali che praticano l’ottimizzazione fiscale aggressiva riuscendo quasi a non pagare tasse, criticata per aver impedito la creazione di un campione europeo con il divieto di fusione tra la tedesca Siemens e la francese Alstom, ha una “vision” per il futuro dell’Europa. “C’è spazio per un’Europa molto più sicura di sé”, dice la Vestager al Foglio: “Penso che i cinesi siano bravi a essere cinesi. Lo stesso vale per gli americani che sono molto bravi a essere americani. La scelta ovvia per noi è essere bravi a fare gli europei. Abbiamo un’eredità molto forte, siamo andati molto lontano” in termini di prosperità, diritti e protezione sociale. “E a volte ci dimentichiamo di quello che abbiamo realizzato perché abbiamo una lista molto lunga di cose ancora da fare e problemi da risolvere”. Ma per ogni cosa c’è “una via europea”, ripete più volte la Vestager. Sarà lei a presiedere la prossima Commissione per realizzare la “via europea” verso il futuro?
Ufficialmente in corsa ci sono il popolare bavarese Manfred Weber e il laburista olandese Frans Timmermans. I liberali presenteranno una rosa con diversi nomi e non è escluso che la Vestager sia inserita (lei dice che in un modo o nell’altro farà campagna in particolare per convincere quelli “che non sono euroscettici di estrema destra o estrema sinistra, che hanno una vita e cose da fare, e non stanno pensando di votare alle elezioni europee”). Il capo negoziatore dell’Ue sulla Brexit, il francese Michel Barnier, è un altro nome che circola insistentemente. Ma alcuni credono che sia la Vestager il coniglio che Emmanuel Macron tirerà fuori dal cappello dopo le elezioni europee del 26 maggio. Donna e mamma, europeista nordica, proveniente da un piccolo paese, radicale danese (cioè liberale di sinistra), ex ministro delle Finanze che ha guidato i negoziati sul bail-in e l’unione bancaria, commissaria battagliera contro Google, Facebook, Apple e Amazon, la Vestager sembra avere tutte le carte in regola per guidare una coalizione tra popolari, socialisti e liberali. La domanda arriva dopo un’ora di conversazione. “Sto cercando una risposta diversa dal solito per non dire niente”, risponde: “Vorrei continuare a fare quello che faccio. Siamo nel mezzo di una cosa e non abbiamo terminato (. . .). Ho detto al mio governo, che non è così propenso a nominarmi, che sarei più che felice di avere un altro mandato, preferibilmente in questo portafoglio”. Eppure, dopo settanta minuti di intervista, si intravede un progetto molto più ambizioso, che va ben oltre l’applicazione delle regole Antitrust.
La concorrenza rimane la priorità della Vestager per i prossimi mesi. A marzo dovrebbe essere pubblicato un rapporto di un gruppo di esperti su come adeguare l’antitrust a una società digitale. “Le regole sulla concorrenza che abbiamo oggi riflettono la scelta strategica europea di avere una competizione corretta sul mercato europeo. Questa scelta strategica ha ben funzionato. Per come stanno le cose oggi, l’Europa è il luogo più prospero in cui si possa essere. Non abbiamo mai avuto tanti posti di lavoro. Ma questo non significa che ogni cosa è incisa nel marmo. E quando si guarda a come i mercati cambiano con tutto che si digitalizza, dobbiamo ripensarci”. L’azione in questo settore non serve solo per i “nativi digitali” come Google, Facebook e Amazon.
“Questo vale anche per l’agricoltura, i trasporti, la salute, le professioni legali, le amministrazioni: tutto ciò che ha un lato digitale”. Quando si produce un’automobile non ci si limita a vendere una carrozzeria con quattro ruote: ci sono o ci saranno l’assicurazione, la manutenzione, il servizio clienti, la connettività, la guida autonoma. E tutto ruota attorno ai dati e a chi li detiene e controlla. “In una società digitale il modo in cui viene creato valore cambia e il modo in cui si innova cambia”, avverte la Vestager: i “gatekeeper” dei dati diventano centrali a tutta l’attività economica e sociale.
I “gatekeeper” dei dati possono sfruttare la loro posizione dominante per escludere i concorrenti a proprio vantaggio, comprarsi concorrenti per ucciderli, “decidere chi può innovare e chi non può innovare”, dice Vestager. Dopo la lunga inchiesta su Google – sette anni dalla prima denuncia su Shopping per arrivare a una multa da 2,4 miliardi, a cui se n’è aggiunta un’altra da 4,3 miliardi per Android – la Vestager si è convinta che “il problema” dell’Antitrust europeo nell’economia digitale sia la “velocità” di reazione. “C’è un’asimmetria. Chi viola la legge può farlo molto rapidamente”, mentre “chi è responsabile di far rispettare le regole è molto lento rispetto a quanto rapidamente si sviluppa il mercato”. La risposta deve essere la “via europea” ai dati: la soluzione non può essere “l’intervento statale come in Cina o lasciata totalmente al mercato come negli Stati Uniti. L’ambizione è quella di trovare un modo europeo per rispettare la privacy delle persone e permettere lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, delle automobili che si guidano da sole, di un ecosistema innovativo che permetta che la digitalizzazione della nostra economia avvenga in modo competitivo”. In questa sfida l’Antitrust da solo non basta. “Il mercato si muove rapidamente”, spiega la Vestager: “Anche se una decisione è quella giusta, poi chi partecipa al mercato cambia”. Ecco perché c’è “bisogno di una regolamentazione più ampia” che sia “più protettrice in termini di competizione corretta su scala globale”.
La bocciatura della fusione Siemens-Alstom sembra contraddire la “via europea” della Vestager alla globalizzazione. La decisione è stata molto criticata da Francia e Germania, perché avrebbe condannato un campione europeo a tutto vantaggio della Cina. “Siemens-Alstom era una fusione tra due campioni europei. Una delle ragioni per cui sono due imprese formidabili è perché competono l’una con l’altra in Europa e sui mercati globali”, risponde la Vestager: “I campioni globali diventano molto competitivi perché sono costretti innanzitutto a competere in patria”. Secondo la Vestager, ci sono altri strumenti per difendersi, a partire dagli accordi commerciali che devono servire a porre fine al “libero scambio asimmetrico”. Poi c’è “il monitoraggio degli investimenti strategici”, perché “se vengono qui devono venire per le giuste ragioni”. E’ anche necessario aggiornare le regole sugli appalti pubblici: la Cina e gli altri sono “benvenuti, ma noi vogliamo partecipare alle gare da voi. Questo non è protezionismo. E’ intelligenza”. Infine “c’è spazio per politica industriale, perché a volte il mercato non produce risultati”. La Vestager ha dato una mano autorizzando miliardi di aiuti pubblici per un progetto congiunto Francia-Germania-Italia-Regno Unito nella microelettronica. Ora sta lavorando alla “alleanza delle batterie” perché “saranno essenziali per ogni tipo di mobilità del futuro”. La politica industriale è usare i soldi pubblici per “fare ricerca, innovazione e educazione in modo da restare al vertice della catena del valore”.
Secondo alcuni osservatori, la decisione su Siemens-Alstom potrebbe essere costata alla Vestager il posto di futuro presidente della Commissione. “Non posso immaginare niente di più imbarazzante che essere accusata di fare qualcosa sulla base delle dimensioni di uno stato membro”, risponde la Vestager: “Può suonare strano, ma ho letteralmente messo la mano sul Trattato e giurato di non ricevere o chiedere istruzioni ma di fare quello che devo fare sulla base della mia lettera di missione e del Trattato”. L’ufficio della Vestager è un po’ la sintesi della sua dottrina. Quadri in stile “street art” con bandiera europea. Una statuetta con dito medio alzato sul tavolo basso (un regalo dei sindacalisti danesi dopo una dura trattativa quando era ministro delle Finanze). Nella sala d’attesa ci sono vecchie poltrone di design, portate dal primo commissario danese che la Vestager ha recuperato nei magazzini e fatto restaurare, e al muro una foto di Margaret Thatcher. Le regole sul mercato interno e la concorrenza (e che Thatcher aveva difeso) “non sono nate da sole o da tecnocrati, ma sono state adottate per mettere in pratica scelte strategiche su cosa vuole l’Europa”, spiega la Vestager: “I Padri fondatori volevano che i mercati servissero i cittadini” perché “a seguito della Seconda guerra mondiale avevano visto cosa avevano fatto i monopoli”. Secondo la Vestager, “non ha senso fare della Commissione un governo, perché è l’unica istituzione che ha la responsabilità di lavorare con tutti, indipendentemente dal colore dei governi” nazionali. La Commissione deve essere “politica”, non nel senso partitico, ma per mettere in pratica le scelte strategiche. Eppoi “abbiamo trascorso decenni a integrare stati membri nell’Ue, ma non abbiamo integrato l’Ue negli stati membri”. Forse è arrivato il momento di fare il contrario.