La guerra dell'Iran alla cultura
Nel 1979 il paese è diventato la tomba di scrittori e poeti. Milioni di libri distrutti e un ministero per cancellare le parole
Pochi giorni fa, in un hangar a Teheran, è stato scoperto un deposito di mezzo milione di libri. C’erano “La fattoria degli animali” di George Orwell, testi di George Bernard Shaw, l’Iliade di Omero e alcuni romanzi di Albert Camus. Questa specie di sepolcro della cultura è uno dei lasciti più terribili della rivoluzione islamica iraniana che “celebra” i suoi 40 anni.
In una giornata di pioggia in una piccola libreria a Teheran, un uomo intanto nascondeva il viso con un libro. Sulla copertina c’è una ragazza, avvolta in un lenzuolo, giace sul pavimento, vicino a un paio di scarpe da uomo. In farsi, la lingua iraniana, la parola “Lolita”. “Questa è la mia traduzione venduta per le strade di Teheran”, dice Akram Pedramnia al Boston Globe di questa settimana. “Il libro è vietato, ma le persone mi mandano queste fotografie, nascondendo i loro volti, ovviamente. E pubblicano queste immagini su piattaforme social, mostrando il contrabbando”. Pedramnia, nato in Iran ma residente in Canada da circa vent’anni, traduce il proibito, da Francis Scott Fitzgerald a Margaret Atwood. Le autorità iraniane hanno chiesto tagli significativi ai libri della Atwood, che Pedramnia ha rifiutato. Sta attualmente traducendo l’“Ulisse” di James Joyce, finora sempre bandito.
Nel famoso San Valentino del 1979, l’imam Khomeini condannava a morte uno scrittore (Salman Rushdie) e il suo romanzo (“I versetti satanici”). Ma anche dentro all’Iran il Censore Supremo si avviava a un purga immensa. Come scrive “Censorship: A World Encyclopedia” a cura di Derek Jones, il cui database è fermo al 2001, “la rivoluzione islamica dell’Iran ha comportato la distruzione di cinque milioni di libri”. Un paio di anni fa, sotto il “moderato” presidente Hassan Rohani, sono state diffuse le nuove linee guida. “Quando vengono registrati nuovi libri, il nostro staff deve prima leggerli pagina per pagina per accertare che non richiedano alcuna modifica editoriale in linea con la promozione dei principi della rivoluzione islamica, per affrontare efficacemente l’offensiva culturale dell’occidente e per censurare qualsiasi insulto contro i profeti”, ha affermato Mohammad Selgi, responsabile del dipartimento del ministero della Cultura che si occupa della pubblicazione dei libri. “Secondo le nuove regole, è vietato l’uso di parole come vino, i nomi di animali stranieri anche domestici e quelli di alcuni presidenti stranieri”, ha spiegato Selgi, citato dalla Bbc in lingua farsi.
Lo scrittore iraniano Salman Rushdie, condannato a morte dall’imam Khomeini per il libro "I versetti satanici" (Foto LaPresse)
Secondo l’Enciclopedia mondiale della censura, “la rivoluzione islamica dell’Iran ha comportato la distruzione di cinque milioni di libri”
L’attuale Guida Suprema, Ali Khamenei, ha paragonato i “libri pericolosi” alle droghe (esiste un mercato nero di libri invisi al regime, specie attorno alle università. Ne è un esempio la “Lolita” di Nabokov, stampata nel vicino Afghanistan e passata dal confine). L’amore per la parola scritta è profondamente radicato nella società iraniana, grazie alla sua straordinaria storia delle arti, delle scienze e della letteratura (pensiamo ai poeti Rumi e Khayyam). Ma oggi le librerie in Iran sono una rarità, con circa 1.500 negozi per una popolazione di quasi 80 milioni.
L’Iran è il primo censore al mondo. Quando si tratta di pubblicare, il processo è molto meticoloso: possono essere necessari mesi, a volte anni, per ottenere il vaglio di un libro attraverso la burocrazia islamico-kafkiana del paese. I libri devono essere prima sottoposti al ministero della Cultura e alla Guida islamica per essere esaminati da almeno un censore anonimo, il cui compito è quello di assicurarsi che il testo segua le regole e i regolamenti della Repubblica islamica. Ad esempio, le scene di baci e danze, così come ogni citazione dell’alcol, sono state modificate nella traduzione iraniana della serie di Harry Potter. A volte, interi capitoli vengono rimossi e alcuni libri non vengono mai stampati. Il ministero della Cultura iraniano ha anche invitato gli scrittori ad autocensurarsi.
L’ex ministro Mohammad Hossein Safar ha dichiarato: “Questo è ciò che chiediamo agli editori e agli scrittori: ‘Siete a conoscenza del codice di controllo, quindi censurate le pagine che potrebbero creare una disputa’”. Un centinaio di scrittori, poeti e traduttori iraniani ha chiesto la fine della censura. “L’Iran è uno dei pochi paesi, all’inizio del XXI secolo, in cui gli autori sono obbligati a chiedere l’autorizzazione dello stato per pubblicare le proprie opere”, scrivono i firmatari, fra cui i poeti Simin Behbahani e Yadollah Royaï, che vive a Parigi. “Lo scrittore è diventato un censore, siamo diventati tutti censori”, ha detto Farkhondeh Hajizadeh, romanziere ed editore indipendente, anch’egli firmatario di quella lettera, in un’intervista a Radio Farda. In questa situazione, alcuni autori e traduttori rinunciano a pubblicare il loro lavoro, come il famoso poeta iraniano Seyed Ali Salehi. Il ministero gli aveva chiesto di rimuovere 120 pagine su 150 da una raccolta delle sue poesie, se voleva vedere il titolo uscire nelle librerie.
Durante il regime dello Shah c’era un elenco con 278 titoli proibiti. Sotto i mullah, sono tutti censurati salvo pubblicazione
La censura iraniana ricorda quella della Ddr. Si chiamava “Hauptverwaltung Verlage und Buchhandel”, amministrazione per l’editoria e il commercio dei libri e sorgeva in Clara-Zetkin-Strasse a Berlino, l’ufficio per la censura nella Repubblica democratica tedesca. I peggiori vizi di un libro al tempo erano il “pessimismo” e il “solipsismo”, non molto diverso da quanto accade oggi in Iran. Invece di scrivere da soli fino a che non erano arrivati a un manoscritto finito, gli autori solitamente inviavano agli editori le prime bozze e piccoli segmenti. I redattori rispondevano con suggerimenti per le modifiche, e un processo di negoziazione continua fino a quando entrambi raggiungevano un accordo finale. La censura agiva da subito nel processo di scrittura.
Da quando, nel 2013, è cominciata in Iran la presidenza Rouhani, qualche miglioramento è stato apportato alla sfera culturale. Sono stati revocati i divieti su alcuni autori, tra cui Ernest Hemingway, Marguerite Duras e José Saramago. Si dice che la Guida suprema Khamenei sia un avido lettore di romanzi occidentali. Come “Les Misérables” di Victor Hugo, la storia di Jean Valjean, che si trova dalla parte sbagliata della legge ma dalla parte giusta della virtù. Khamenei ha lodato il libro come “un miracolo”. Va da sé che l’Inferno dantesco, con la sua descrizione del Maometto dannato, sia proibito, sebbene Khamenei lo abbia letto. Si era appassionato anche a “Cuore di cane” di Mikhail Bulgakov, una parodia del regime sovietico, che l’ayatollah ha elogiato ma poi liquidato come “non rivoluzionario”. Questa sua passione per la cultura lo avrebbe portato anche a prendere di mira e a far uccidere numerosi intellettuali e scrittori “mercenari”, “lacchè” e “penne avvelenate” dell’occidente. Nell’ottobre 1995, il regime ha ucciso lo scrittore e traduttore letterario Ahmad Mir-Alaei, che aveva incontrato lo scrittore britannico V. S. Naipaul. È quasi certo che il leader supremo ha autorizzato tutti gli omicidi di intellettuali in patria e all’estero dal 1989 in poi.
Al famoso poeta Seyed Ali Salehi, il regime aveva imposto di togliere 120 pagine su 150 se voleva far uscire la propria raccolta
Fra i “libri dannosi”, Khamenei ha inserito il Simposio di Platone, “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline, le opere di Joyce, Gabriel García Márquez e Kurt Vonnegut (il suo “Ghiaccio-Nove” è stato ripubblicato nel 2013). Il ministero ha deciso di censurare “Khosrow e Shirin”, una storia d’amore stile Romeo e Giulietta, scritto da Nezami nel XII secolo e presente nelle case iraniane da secoli. O Sadeq Hedayat, il capostipite della letteratura iraniana moderna. Pur essendo morto nel 1951, esule e suicida a Parigi, i suoi libri sono stati ritirati dalle librerie iraniane. L’autore di racconti come “Sepolto vivo”, poderoso atto d’accusa contro “l’Iran dei religiosi inturbantati”, si è visto censurare anche le traduzioni de “Il muro” di Sartre e “La metamorfosi” di Kafka.
Va a ondate la censura letteraria. Dopo che il predecessore riformista di Mahmoud Ahmadinejad, Mohammed Khatami, rilassò il clima culturale, a questo fece seguito una ondata di repressione. Da “Caligola”, una famosa commedia di Albert Camus, i censori rimossero dal testo le parole “economia” e “giustizia” perché erano spesso usato dall’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad durante i suoi discorsi. Faraj Sarkouhi, che ha curato il settimanale culturale iraniano Adineh prima di essere imprigionato per “propaganda” negli anni Novanta e che è fuggito in Germania dopo la sua liberazione, dice che i censori iraniani sono ossessionati dall’idea che il romanzo occidentale possa essere una forza corruttiva nella società. “Fanno dell’Iran un inferno per la letteratura, indipendentemente dal fatto che sia contemporaneo o classico”, ha detto Sarkouhi. Molti classici, romanzi contemporanei e dozzine di bestseller internazionali sono stati banditi, tra cui la traduzione in farsi del capolavoro di Dostoevskij “Il giocatore”, “Mentre morivo” di William Faulkner e alcuni libri di Virginia Woolf. E’ sterminato questo elenco che comprende anche “Il contratto sociale” di Rousseau. Stessa sorte per “Memoria delle mie puttane tristi” di García Márquez.
Le “Avventure della ragazza cattiva” del Nobel Mario Vargas Llosa hanno passato la censura cambiando il titolo: “Una ragazza dal Perù”. In Iran, gli scaffali delle biblioteche stanno diventando sempre più poveri. I testi sono “rettificati”, nel gergo dei funzionari della Guida islamica. In ogni pagina, parole evidenziate, paragrafi da eliminare. Lo sviluppo dei computer ha aiutato i censori perché i manoscritti sono inviati in formato digitale al ministero. Ciò facilita l’individuazione delle parole vietate.
Da “Caligola” di Albert Camus sono state cancellate le parole “economia” e “giustizia”. A Vargas Llosa hanno cambiato titolo
“Mai nella storia della Repubblica islamica abbiamo avuto un tale grado di censura”, ha detto uno scrittore sotto anonimato al quotidiano francese Libération. Ma quanti sono i libri proibiti? Nel 1978, l’ultimo anno dello Shah, c’era una lista di 278 titoli proibiti, soprattutto letteratura marxista, da Mao a Lenin. Dal 1979, quell’elenco non esiste. Dunque in Iran chiunque debba ritenersi censurato, almeno fino a pubblicazione contraria. I cassetti in Iran sono stracolmi di libri non pubblicati.
Il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier è appena finito al centro di una polemica per aver inviato un telegramma di “congratulazioni” al regime iraniano per i 40 anni della Rivoluzione islamica. La Bild, il più diffuso quotidiano tedesco, ha stilato un elenco di traguardi iraniani poco commendevoli e di cui si è dimenticato Steinmeier: esecuzioni di massa e torture, persecuzione delle donne e dei dissidenti, terroristi che minacciano di annientare Israele, negazione della Shoah. Manca l’aver rinverdito i fasti nazisti dei roghi dei libri. Soltanto che non sono bruciati come nell’Opernplatz berlinese, dove i nazisti allestivano i loro famigerati “Bücherverbrennungen” e i libri di Freud, Mann, Remarque, Marx, Ludwig e tanti altri venivano gettati alle fiamme. I libri in Iran vengono sepolti.
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