L'impero morente
Detiene il record di condanne a morte, di fughe di cervelli, di crollo delle nascite e del pil. Benvenuti nella Repubblica islamica dell’Iran
L’Iran fa paura. L’impero sciita della Repubblica islamica si estende ormai a numerose capitali del medio oriente: da Teheran a Baghdad, da Damasco a Beirut, da Sanaa a Gaza. L’Iran fa paura e dice di non averne. A quarant’anni dalla loro rivoluzione nel 1979, i mullah parlano di un’America “in declino”, come ha detto l’ayatollah Ahmad Jannati, il segretario del potentissimo Consiglio dei Guardiani. “L’America non può gestire i propri affari”, ha spiegato Jannati alla televisione di stato per il quarantennale della Rivoluzione islamica, mentre per strada si scandivano i soliti slogan come “morte a Israele”. Jannati ha aggiunto che “milioni di persone lì hanno fame e il potere dell’America è in declino”. Peccato che a essere in declino, uno spaventoso declino, è proprio il regime iraniano.
Dal 1979 al 2017 l’iraniano medio è diventato il 32 per cento più povero di prima (nuovi studi della Banca mondiale)
L’Iran è stato il primo paese al mondo nel 1979 a far cadere un governo laico e occidentalizzante e a sostituirlo con una teocrazia islamica. Ma l’esperimento ha fallito e il trattamento sta uccidendo il paziente. Anche senza considerare la persecuzione delle donne, dei giornalisti, delle minoranze etniche e sessuali, degli oppositori politici, all’interno il regime è sempre più fatiscente.
Nuove statistiche pubblicate dalla Banca mondiale rivelano che l’Iran ha avuto uno spaventoso tracollo economico negli ultimi quarant’anni a seguito del dominio clericale islamico. Le cifre pubblicate dalla Banca mondiale rivelano che l’economia iraniana è scesa dal 17esimo al 27esimo posto negli ultimi quarant’anni. Nello stesso periodo, la Turchia è salita dal 27esimo al 17esimo posto. Allo stesso tempo, il pil della Turchia, che era la metà di quello dell’Iran quando fu cacciato lo shah, è quasi raddoppiato in quarant’anni. Secondo la Banca mondiale, il pil dell’Arabia Saudita, un paese con 32 milioni di abitanti, è oggi di 683 miliardi di dollari, ovvero 244 miliardi di dollari in più dell’Iran, un paese con una popolazione di 81 milioni di abitanti. Ciò avviene nonostante le riserve di petrolio e gas fossili dell’Iran siano molto più cospicue di quelle del regno saudita. Anche se gli Stati Uniti revocassero le sanzioni, l’Iran non riuscirebbe mai a pompare i sei milioni di barili di petrolio al giorno come faceva prima della Rivoluzione del 1979. Oggi ne produce meno della metà – 2,74 milioni al giorno – secondo dati pubblicati a gennaio da Bloomberg. E rischia di avvicinarsi alla soglia di allarme di un milione. L’Iran è ricchissimo, ma vive da miserabile, tranne una casta religiosa e militare che ha derubato le risorse nazionali.
Le stime della Banca mondiale basate sul reale potere d’acquisto iraniano tra il 1976 e il 2017 rivelano che durante questo periodo un iraniano medio è diventato il 32 per cento più povero di prima. Anche Massoud Nili, consigliere economico del presidente iraniano Hassan Rouhani, ha affermato che l’attuale reddito pro capite in Iran è il 70 per cento del reddito pro capite del 1976. In altre parole, lo stesso regime conferma che gli iraniani sono il 32 per cento più poveri di quarant’anni fa.
L’ex capo dell’agenzia per la protezione ambientale ha riferito che l’85 per cento delle acque sotterranee del paese è sparito
Ma l’Iran vanta numerosi record. “Oltre la metà (51 per cento) di tutte le esecuzioni registrate nel 2017 sono state effettuate in Iran”, ha denunciato Amnesty International. In rapporto alla popolazione, l’Iran detiene il record mondiale assoluto di esecuzioni pro capite. C’è stato un aumento delle carcerazioni di 333 punti percentuali dal 1979 a oggi. L’Iran detiene il primo posto per la popolazione carceraria tra i paesi islamici. Nel 1979, con una popolazione di 37 milioni di abitanti, l’Iran aveva 8.557 detenuti e nel 2018 con una popolazione di 81 milioni di persone ha 223 mila detenuti.
Negli ultimi 40 anni, la radicata corruzione del regime, il clientelismo e la cattiva gestione delle risorse ambientali e naturali hanno portato l’Iran a un disastro.
Nel 2013, l’agenzia per la protezione ambientale dell’Iran fece sapere che l’85 per cento delle acque sotterranee del paese era sparito. Secondo Issa Kalantari, ex ministro dell’Agricoltura e poi capo dell’agenzia per la protezione ambientale, milioni di iraniani saranno costretti a migrare verso paesi più sviluppati, soprattutto in Europa, se la crisi idrica non si risolverà nei prossimi vent’anni. La distruzione da parte del regime dell’ambiente e delle risorse idriche è ben dimostrata dalla storia del fiume Zayandeh. In persiano, Zayandeh significa “donatore di vita”. Il fiume è responsabile delle prime civiltà dell’Iran centrale e fu la ragione per secoli della prosperità della celebre città di Isfahan, conosciuta in persiano come “metà del mondo”. Oggi, la continua morte del fiume ha portato a manifestazioni di massa contro il regime non solo a Isfahan, ma anche in città più piccole come Varzaneh.
L’uso di droghe è schizzato alle stelle. L’Iran oggi è tra i paesi più tossicodipendenti al mondo, con tre milioni di iraniani dipendenti da narcotici. Una cifra più che raddoppiata nell’ultimo decennio. Altri tre milioni di iraniani – il 40 per cento dei quali neolaureati – oggi sono senza lavoro. Intanto, i giovani abbandonano in massa il paese.
Cinque milioni di iraniani sono fuggiti dal 1979. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’emigrazione di iraniani istruiti all’estero è aumentata notevolmente; ogni anno, da 150 a 180 mila persone si lasciano il paese alle spalle. Prima della Rivoluzione, solo un massimo di 50 mila persone emigravano ogni anno. Basato sui dati del Fondo monetario, l’Iran ha il più alto tasso di fuga dei cervelli in 91 paesi. L’Iran oggi è pieno di giovani. Ma hanno smesso di fare figli.
In Iran c’è stato il più rapido declino del tasso di fertilità mai registrato dall’Onu. Dal 1979 si è passati da sette a un figlio a testa
Una donna iraniana di venticinque anni istruita è cresciuta in una famiglia di sei o sette figli, ma oggi ne avrà al massimo uno. Il paese ha un reddito pro capite di appena cinquemila dollari, un decimo del pil americano, e la maggior parte di questo proviene direttamente o indirettamente da riserve di petrolio e gas naturale, che si stanno esaurendo. L’Iran non riesce a raggiungere nemmeno il reddito pro capite di seimila dollari del Botswana. La fuga di cervelli fa sì che negli Stati Uniti vi siano docenti iraniani in numero triplo di quelli che insegnano nelle università iraniane. La fuga del capitale umano costa al regime iraniano 38 miliardi di dollari all’anno, due volte le entrate dalla vendita di petrolio.
La demografia fa una paura matta al regime tanto da arrestare i demografi. Uno degli arrestati nelle scorse settimane, Meymanat Hosseini Chavoshi, è un demografo iraniano che lavora con l’Australian National University come ricercatore e uno degli autori del libro “Developments in Fertility in Iran”. Uno dei maggiori scienziati ambientali iraniani corteggiati dall’amministrazione di Hassan Rouhani è fuggito nel Regno Unito.
Kaveh Madani era stato persuaso a lasciare la sua posizione all’Imperial College di Londra l’anno scorso per servire come vice capo del dipartimento per l’ambiente iraniano. Il suo ritorno era stato visto come un simbolo degli sforzi di Rouhani per invertire la fuga di cervelli del paese. Nel 2016, Madani era stato tra i quattro vincitori del premio Arne Richter per i migliori giovani scienziati dall’Unione europea nelle geoscienze. Madani ha criticato le passate politiche iraniane sull’acqua, affermando che il paese abbia passato il tempo della crisi e che sia entrato nell’era della bancarotta delle acque.
Si stima che il 97 del paese abbia affrontato un certo livello di siccità. Utilizzando immagini satellitari tra il 2003 e il 2017, gli scienziati stimano che la pianura occidentale di Teheran stia affondando di 25 centimetri all’anno a causa dello sfruttamento delle risorse idriche del sottosuolo. La geopolitica ha giocato un ruolo chiave nella crisi idrica dell’Iran.
Dalla Rivoluzione islamica del 1979, l’Iran ha cercato di diventare autosufficiente in tutti i settori per contrastare le sanzioni internazionali. Sull’acqua il regime si è praticamente suicidato, come recita una recente analisi su Foreign Policy. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha persino pubblicato un video online a giugno, offrendo all’Iran la tecnologia dell’acqua del suo paese. “Il regime iraniano grida: ‘Morte a Israele’”, ha detto Netanyahu. “In risposta, Israele grida: ‘Vita al popolo iraniano’.”
Sotto l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ha detenuto il potere dal 2005 al 2013, il regime aveva diviso il controllo delle risorse acquifere fra le province, che ne hanno assegnato il consumo ad agricoltura, industria e bisogni domestici senza riguardo alla protezione delle fonti. Una decisione motivata politicamente e che si è dimostrata popolare nel breve periodo, ma che ha distrutto le falde. I sussidi parasocialisti del regime hanno incoraggiato gli agricoltori a inondare le proprie coltivazioni. Inoltre, i capi provinciali hanno spinto per l’espansione delle industrie ad alto consumo di acqua, indifferenti alla crisi idrica.
Nonostante abbia le risorse energetiche più grandi al mondo, l’Iran non riesce a raggiungere il reddito pro capite del Botswana
La transizione demografica dell’Iran è il più rapido declino del tasso di fertilità mai registrato dall’Onu e l’Iran ha superato anche il calo della fertilità in Cina, ma senza ricorrere alla politica del figlio unico di Pechino. “Le civiltà morenti sono le più pericolose e l’Iran sta morendo” scrive David Goldman nel suo libro How Civilisations Die (and How Islam is Dying, Too)”. “Il suo tasso di fertilità totale probabilmente si aggira intorno a 1,6 bambini per donna, allo stesso livello dell’Europa occidentale, un declino catastrofico da sette bambini per donna nei primi anni Ottanta. Ecco perché la guerra è probabile, se non del tutto inevitabile. Il declino della fertilità dell’Iran è un enigma per i demografi. Mai prima d’ora nella storia il tasso di natalità di un grande paese era caduto così in fretta e così tanto. La popolazione iraniana sta invecchiando più velocemente di quella di qualsiasi altro paese al mondo. Nel 2050, il 30 per cento della sua popolazione avrà più di sessant’anni, lo stesso rapporto che negli Stati Uniti, ma con un decimo del pil pro capite americano. Non vedo alcun modo per evitare una catastrofe sociale unica nell’esperienza umana”. Goldman paragona la situazione dell’Iran a quella dell’ex Unione sovietica. Dall’invasione dell’Afghanistan a quella di Praga, la leadership sovietica negli anni Settanta ha iniziato ad agire in modo più aggressivo in politica estera, forse perché aveva capito che era l’ultima possibilità di mantenere il potere in un declino economico e demografico. E come l’Unione sovietica allora, l’Iran oggi ha tassi altissimi di tossicodipendenza, di repressione del dissenso, di caos ambientale, di collasso economico e di fuga della popolazione oltre la sua cortina di ferro.
“Questa è l’essenza del dominio islamista in Iran: chierici settuagenari che si impongono su una società giovane”, ha scritto Karim Sadjadpour del Carnegie Endowment for International Peace. “E quel dominio può essere sostenuto solo con la coercizione”. Il declino del regime iraniano è accompagnato da leggi assurde. Il mese scorso, gli ayatollah hanno bandito il passeggio con i cani. C’è anche chi ha proposto per il colpevole una dose di frustate. E’ la grande fuga dalla realtà. Quando arriverà la resa dei conti?