Manifestanti con le bandiere algerine durante un sit-in contro un quinto mandato del presidente Bouteflika

Nella piazza algerina i leader di partito rincorrono la protesta

Rolla Scolari

Spuntano nelle manifestazioni contro Bouteflika alcuni esponenti politici. La mappa (spezzettata) dell’opposizione

Milano. La giornalista che ha letto domenica al tg della sera in Algeria la lettera in cui il candidato presidente Abdelaziz Bouteflika promette, in caso di vittoria alle elezioni del 18 aprile, un voto anticipato cui non prenderà parte, ha dato le dimissioni. Uomini d’affari e capi d’azienda hanno annunciato di abbandonare il Forum des chefs d’entreprise, una specie di Confindustria locale, alla testa della quale siede Ali Haddad, tra i principali imprenditori algerini, vicino a Said Bouteflika, enigmatico fratello minore di Abdelaziz, a lungo considerato suo possibile successore. Tre concorrenti alle presidenziali hanno ritirato la propria candidatura, mentre la piazza non ha smesso di manifestare, sventolando le bandiere bianche, rosse e verdi dell’Algeria. Non ci sono tra le folle della capitale, Orano, Tizi Ouzou, Costantina e le altre (molte) città del paese che si stanno sollevando contro i 20 anni di presidenza di Bouteflika simboli dei partiti e delle opposizioni.

  

Certo, dopo la sorpresa della manifestazione spontanea di venerdì 22 febbraio e della sua potenza, sono molti i leader di partiti d’opposizione a essere apparsi ai cortei. Il movimento Mouwatana – cittadinanza, in arabo – che riunisce elementi della società civile, intellettuali, giornalisti, attivisti, aveva da tempo in programma una manifestazione contro il quinto mandato prevista per il 24 febbraio, due giorni dopo l’impressionante protesta che ha dato peso al dissenso. Il gruppo è nato l’anno scorso proprio contro un quinto mandato di Bouteflika, nell’ambito della minoranza berbera della Cabilia, regione montuosa a est di Algeri. Leader politici come gli ex candidati presidenziali Abderrazak Makri, guida del Movimento della società per la pace – i Fratelli musulmani algerini – e Ali Benflis, ex primo ministro alla testa del partito Avanguardia della libertà, sono comparsi in piazza dopo diversi giorni di protesta. Come ci spiega Umberto Profazio, analista dell’International Institute for Strategic Studies di Londra, si tratta di una dinamica “interessante perché mostra come la capacità dei partiti politici di mobilitare la piazza sia inferiore rispetto a quella di un movimento della società civile. I partiti tradizionali sono lontani dalla popolazione, le proteste sono spontanee, e un po’ come per la primavera araba del 2011 i partiti si sono accodati”.

  


Molti si sono ritirati dalla corsa presidenziale quando l’anziano rais ha confermato la propria ricandidatura (la quinta). Ma come spesso accade nei regimi, oltre alle proteste bisogna guardare anche al palazzo. Dove il fronte dei generali non è compatto e non c’è un accordo sulla successione


  

Una forte spinta emotiva, spiega Profazio, è legata alla presenza ai cortei di Rachid Nekkaz. A 47 anni, con 1,5 milioni di follower su Facebook, il ricco uomo d’affari laureato in filosofia alla Sorbona ha rinunciato alla cittadinanza francese per candidarsi alle presidenziali algerine. Piace, e anche molto, ai giovani social e iper connessi della piazza algerina. Con la sua retorica anticorruzione, è il candidato della rottura, e per ora uno dei pochi a non essersi ritirato dalla gara. Tra gli altri, ha abbandonato la corsa Makri, i cui islamisti moderati sono tra le principali forze d’opposizione del paese, seppur siano nel tempo scesi a compromessi con il potere per riuscire a ottenere poltrone. Un altro candidato dell’opposizione a Bouteflika che ha da poche ore ritirato la propria candidatura al voto – la terza dal 2004 – è Ali Benflis, il leader di Avanguardia della libertà: ex segretario del Fronte di liberazione nazionale, quel Fln storico partito del presidente e dell’indipendenza, ex premier ed ex alleato di Bouteflika, è il simbolo dell’opposizione che la strada considera compromesso con il potere. “Il quadro generale – ci dice Profazio – è quello di un’opposizione frammentata che non è mai riuscita a selezionare un candidato unico da proporre come alternativa”.

  

La breve stagione democratica del multipartitismo iniziata in Algeria con le riforme politiche della fine degli anni Ottanta è stata soffocata dal risultato del primo turno delle fatidiche elezioni del 1991, che hanno visto la vittoria degli islamisti del Fis, e la conseguente strozzatura del processo elettorale. Esistono oggi partiti d’opposizione poco rappresentativi. A preoccupare il palazzo non sono questi gruppi, ma potenziali pulsioni in arrivo da elementi di potere intestini. E’ dalla metà del 2018 che emergono segnali di lotte interne, ci racconta Profazio: a settembre sono stati allontanati il segretario del Fln e lo speaker del Parlamento, sono stati epurati il capo della polizia Abdelghani Hamel, il comandante dell’aviazione, il generale Bekkouche Ali e altri. Ricorrenti purghe ai vertici militari e dell’intelligence dal 2015 raccontano un rapporto conflittuale tra la presidenza e l’esercito. E non è un caso che l’anziano presidente sia anche il ministro della Difesa: un modo per imporre il proprio potere sulle divise. I generali però non sono un fronte compatto: tra i principali sostenitori di Bouteflika c’è Ahmed Gaid Salah, il capo di stato maggiore. “Il rapporto tra il presidente e i militari è la chiave di volta per capire che cosa accadrà nei prossimi giorni – ci spiega Profazio – Salah manterrà il proprio appoggio, o sotto pressione popolare cambierà idea?”. La lettera in cui il presidente in caso di vittoria ad aprile propone un voto anticipato cui non si presenterà è il segnale di come il clan al potere non abbia ancora trovato una figura di compromesso per la successione. E quindi prende tempo.