Ma quanto si odiano i due leader catalani, tra la prigione e l'esilio
Carles Puigdemont e Oriol Junqueras si contendono il dominio assoluto dell’indipendentismo della Catalogna e non vanno d’accordo quasi su niente
Milano. Il campo dell’indipendentismo catalano si presenta alle elezioni europee con due candidati di punta che non per caso sono due vecchie conoscenze. Il primo è “l’uomo di Waterloo”, Carles Puigdemont, ex governatore catalano fuggito in esilio dopo il referendum dell’ottobre 2017, poco prima che la polizia spagnola potesse acchiapparlo e oggi rifugiato nella città della gran sconfitta napoleonica. Il secondo è Oriol Junqueras, ex braccio destro di Puigdemont, per molti la mente finanziaria del progetto indipendentista. Lui non è riuscito a fuggire o non ha voluto, è rimasto stoicamente a Barcellona, è in carcere da quasi due anni ed è l’imputato principale del processo monstre all’indipendentismo che le procure spagnole hanno aperto il mese scorso. Il leader esiliato e il leader prigioniero politico. Entrambi candidati nei rispettivi partiti (Puigdemont è di centrodestra, Junqueras è di centrosinistra) in un contesto elettorale sovranazionale, a rappresentare i propri valori di libertà. Non male. Peccato che i due si odino a morte.
Anzitutto, c’è una ragione plastica di quest’odio. Puidgemont trascorre da un paio d’anni una vita piuttosto agiata in giro per l’Europa centrale, tiene convegni e si fa vedere a passeggio per le strade delle capitali europee. Junqueras è chiuso nella prigione di Lledoners, assieme a tutti gli altri dirigenti dell’indipendentismo, e anche se lui non l’ha mai detto esplicitamente, quelli vicini all’ex vicegovernatore non si fanno problemi a definire Puigdemont un traditore. Junqueras fece capire chiaramente la sua posizione in un’intervista pubblicata sul Figaro all’inizio di quest’anno: “Io sono rimasto in Catalogna per senso di responsabilità nei confronti dei miei cittadini. Socrate, Seneca o Cicerone ebbero la possibilità di fuggire e non lo fecero”. Oltre alla scarsa modestia, Junqueras con questo passo intende sottolineare che, ovviamente, chi dalla Catalogna è fuggito ha mostrato un senso di responsabilità scadente.
Così, a distanza l’uno dall’altro e a distanza dai rispettivi quadri di comando, i due leader si contendono il dominio assoluto dell’indipendentismo della Catalogna e non vanno d’accordo quasi su niente. Puigdemont, che ha assunto un atteggiamento vittimista fin dai primi tempi del suo esilio, ha una politica di massimalismo: bisogna colpire il governo di Madrid in tutti i modi possibili, aspettare che sia indebolito e forzare l’indipendenza. Per dare forza a questa posizione Puigdemont ha purgato il suo partito, PDeCAT, di tutti gli esponenti più moderati, e adesso si vocifera di uno scisma. Junqueras, che forse avrebbe qualche ragione in più per considerarsi vittima, è invece il più politico. Oltre alla candidatura europea, Junqueras si presenterà come capolista per il suo partito, Erc, anche alle elezioni politiche spagnole di aprile. E se Erc dovesse risultare la principale forza politica dell’indipendentismo è pronto a riaprire il dialogo con il governo di Madrid. Junqueras, scrivono i media spagnoli, è ossessionato dal ricomporre la convivenza civile in Catalogna, e dunque sta cercando posizioni di maggiore moderazione, anche se non ha abbandonato l’idea dell’indipendenza. Puigdemont, invece, aveva garantito che non si sarebbe ricandidato in Catalogna dopo il suo primo mandato di governatore (l’ha fatto, attualmente è un “parlamentare sospeso” nell’Assemblea locale catalana) e fino a quattro mesi fa andava dicendo che non si sarebbe candidato alle europee. In caso di vittoria, Puigdemont si troverebbe in imbarazzo: la legge lo obbliga a farsi investire della carica di parlamentare europeo nel suo paese d’origine, dove però lo aspetterebbero i poliziotti.