Il ministro dell'Economia francese mena durissimo l'Italia sulla Cina
Il Foglio ha rintracciato una bozza del discorso. Ecco come la Francia fa affari con Pechino ma senza fare endorsement politici
Roma. L’adesione italiana alla nuova Via della Seta potrebbe aprire un’altra crisi tra Italia e Francia. Il Foglio è venuto in possesso della bozza del discorso che il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha pronunciato all’apertura della Global Market Conference della banca Jp Morgan a Parigi, corredata delle note del suo gabinetto. In un passaggio che descrive lo stato dell’economia mondiale, Le Maire cita come fattore destabilizzante l’adesione dell’Italia al progetto cinese: “Ovunque in Europa l’ascesa dei nazionalismi e dei populismi minaccia il progetto europeo. E mentre l’Europa si divide, un’altra parte del mondo si riunisce dietro le Nuove Vie della Seta. E persino dei paesi europei si stanno aggiungendo: l’Italia preferisce aderire a queste Vie piuttosto che lottare per il progetto europeo”. L’attacco è duro, e il revisore consiglia di modificare l’ultima riga in questo modo: “L’Italia ha segnalato la sua intenzione di dare ampio sostegno al progetto cinese”, prima di aggiungere, preoccupato: “Volete davvero rilanciare la guerra con l’Italia? Bisogna almeno rimuovere la seconda parte della frase”.
Il documento segnala quanto l’iniziativa italiana imbarazzi i partner europei, che stanno cercando di assumere una posizione comune nei confronti della Cina. Anche perché il mercato cinese interessa a tutti, non soltanto all’Italia. La Cina è il sesto partner commerciale della Francia, il suo ottavo cliente e secondo fornitore. I francesi vorrebbero colmare il deficit commerciale con Pechino, che vale 30 miliardi di euro ed è il più elevato. La strategia della Francia, però, punta a uno stretto coordinamento con gli altri partner europei: “Gli esiti del prossimo consiglio europeo e del prossimo summit Unione europea/Cina permetteranno di definire una posizione più precisa. Il nostro obiettivo è cercare di avere il più largo consenso europeo possibile”, spiegano al Foglio fonti del ministero degli Esteri francese. Venerdì mattina, la portavoce del ministero degli Esteri ha detto che, in occasione dei vertici europei e degli incontri con la Cina, “la Francia sottolineerà quanto sia importante che l’Unione europea mantenga la sua unità di fronte alla Cina”.
La diplomazia francese è prudente, e vuole evitare di assumere iniziative che indebolirebbero una posizione comune a livello europeo. Parigi è consapevole del potenziale economico del rapporto con Pechino, la sovranità, tuttavia, non è in discussione, ci spiega un diplomatico francese: “Per noi non c’è alcun problema a fare affari con la Cina, ma il piano politico ed economico vanno separati. Alcuni investimenti cinesi presuppongono l’acquisizione di reti e infrastrutture, che siano digitali o materiali: questa per noi è una linea rossa”.
Che il piano commerciale e quello politico non vadano confusi lo dimostrano le dichiarazioni di Macron. Lunedì, in visita a Gibuti, piccolo stato del Corno d’Africa dove la Francia possiede la più grande base militare all’estero (così come la Cina), Macron ha chiarito come giudica l’influenza cinese nella regione. Il ragionamento del presidente francese è riferito allo stato africano, di cui Pechino detiene il 60 per cento del debito pubblico, ma può valere come regola generale: “Quando un indebitamento diventa eccessivo e poco trasparente, ciò che sembra positivo nel breve termine si rivela negativo sul medio e sul lungo termine”, e riferendosi agli investimenti cinesi ha detto che è necessario “un quadro chiaro affinché non riducano la sovranità degli stati né fragilizzino la loro situazione economica”. Il ministro della Difesa, Florence Parly, ha parlato apertamente della “determinazione”, da parte di Parigi, “di controbilanciare questa influenza crescente”. I francesi parlano da ex potenza coloniale egemone in Africa, e non stupisce la loro irritazione per l’ascesa cinese in una zona che considerano di influenza esclusiva. Ma mostrano di sapere separare il commercio dalla politica. L’Italia può dire lo stesso?