Il fronte sinoscettico nell'Ue
Nella bozza per un accordo con la Cina l’Ue offre collaborazione, ma è assertiva su mercato e appalti. Germania e Francia affilano la retorica contro Pechino al vertice di oggi
Milano. Appena una settimana fa, l’Unione europea designava la Cina come “rivale sistemico”. E mentre sui media di tutto il Vecchio continente si recuperano anni di disinteresse e ci si interroga sul destino e sull’opportunità dei rapporti tra Pechino e l’occidente, oggi i leader europei si incontreranno per discutere dei rapporti strategici con la Cina (parleranno anche dell’inevitabile Brexit, ma questa ormai è una costante di tutti i conciliaboli). Come ha notato il Financial Times, l’ultima volta che i leader dell’Ue si sono trovati in un vertice per parlare di Cina è stato esattamente trent’anni fa, nel 1989, poco dopo il massacro terribile di piazza Tiananmen. Da quel momento, l’Europa ha smesso quasi del tutto di occuparsi di Cina, la questione è stata demandata ai singoli stati, che con politiche quasi sempre miopi hanno cercato di arraffare quanto potevano del miracolo economico del paese asiatico. Ma negli ultimi mesi l’Europa si è svegliata – persino l’Europa, potremmo dire, con i suoi tempi da bradipo.
I due paesi che si sono svegliati per primi e che stanno cercando di scuotere gli altri sono sempre i soliti: Germania e Francia, che di recente hanno indurito la loro retorica contro le pratiche rapaci del Partito comunista e sono le due forze dietro al summit di oggi, che vorrebbe inaugurare una nuova politica comune nei confronti della Cina. Questa politica risponde a una parola chiave molto ripetuta sia da Angela Merkel sia da Emmanuel Macron: reciprocità. Ma sarà difficile: mentre i leader discutono di strategie a Bruxelles, Xi Jinping si prepara a un tour trionfale nel continente.
Ora, sgombriamo il campo da facili polemiche: nessun’altra economia europea ha beneficiato del rapporto con la Cina quanto quella tedesca. Eppure a Berlino, specie dopo alcune acquisizioni strategiche di gioielli industriali da parte cinese (vedi Kuka, una delle società di robotica più avanzate al mondo), hanno capito che i benefici economici rischiavano di essere sopravanzati dai pericoli politici, e hanno cominciato a spingere per una nuova strategia, che il ministro dell’Economia, Peter Altmaier, ha concentrato attorno al concetto di “reciprocità” dopo un report allarmante della Confindustria tedesca (Bdi). Sabato la cancelliera Merkel ha detto che, quando si parla di relazioni con la Cina “dobbiamo essere sicuri (…) di reagire in maniera reciproca”. La stessa parola, reciprocità, è stata usata molte volte dal francese Macron.
Oggi i leader europei si incontrano per discutere una bozza negoziale in vista del summit Ue-Cina di aprile con il premier cinese Li Keqiang, e nel documento la reciprocità è espressa praticamente in ogni paragrafo. Nelle sei pagine scarse si offrono collaborazione e amicizia, ma poi si chiede ribilanciamento su tutta una serie di fattori, come gli investimenti, il rispetto della proprietà intellettuale, gli appalti pubblici. Quest’ultima questione è molto sentita da Berlino e Parigi, che da tempo invocano regole che funzionano più o meno così: se il paese X non consente alle aziende europee di partecipare agli appalti pubblici, allora l’Europa farà altrettanto con le aziende del paese X. Questo paese è soprattutto la Cina, che da anni non consente alla concorrenza europea di gareggiare lealmente per il suo mercato. Per esempio, alle aziende del Vecchio continente è stato impedito di partecipare alla costruzione delle infrastrutture delle Olimpiadi del 2008, o negato l’accesso alla costruzione delle ferrovie dell’alta velocità, che sono state un affare plurimiliardario e un volano economico importantissimo. Secondo un alto funzionario europeo, l’obiettivo è siglare “entro il 2020 un ambizioso accordo Ue-Cina sugli investimenti”. Inoltre, Bruxelles cerca un accordo sugli appalti “entro il luglio del 2019”.
Ma reciprocità deve essere intesa anche in senso più ampio. Germania e Francia, ancora, sono i più accesi sostenitori della strategia del “campione continentale”, come si è visto nel caso Siemens-Alstom. Berlino e Parigi volevano unire le due aziende (la Commissione Ue l’ha impedito) e creare un gigante europeo dei trasporti, e la logica ancora una volta è: “Ne abbiamo bisogno per resistere alla concorrenza della Cina”.