Uno dei manifesti per la manifestazione per il People's Vote di domani (Foto LaPresse)

Bye bye Brexit, la parola torni al popolo inglese, ci dice Campbell

Paola Peduzzi

Oggi a Londra si va in piazza per il secondo referendum. L’ex spin doctor di Blair ci spiega perché è undemocratic non rivotare

Milano. “Sono appena stato in Germania”, racconta al Foglio Alastair Campbell, ex spin doctor del premier britannico Tony Blair, e “tutti mi parlavano come se mi fosse morto un parente. ‘Mi dispiace tanto per quel che è accaduto al tuo paese’, mi dicevano, anzi, mi compativano”. Quel che è accaduto al Regno Unito è la Brexit: un referendum nel 2016 a favore dell’uscita dall’Unione europea, l’articolo 50 che attiva il processo di separazione, due anni di negoziati, un accordo siglato tra il governo di Londra e i 27 paesi dell’Ue che però non ottiene il consenso politico da parte del Parlamento inglese, senza il quale non può essere ratificato. La scadenza del negoziato era prevista per il 29 marzo, venerdì prossimo, ma l’Ue, al vertice di Bruxelles che si è concluso ieri, ha deciso di posticipare la data al 12 aprile, per consentire alla premier inglese, Theresa May, di sottoporre l’accordo a un terzo voto parlamentare, nella speranza che passi.

 

Alastair Campbell, ex spin doctor di Tony Blair e uno dei volti di spicco del People's Vote (Foto LaPresse)


Se non dovesse passare – i numeri al momento non ci sono – l’Ue è disposta a concedere una proroga più lunga a patto che ci siano delle motivazioni che dimostrano che, nel tempo concesso, il Regno possa uscire dallo stallo: in concreto, che ci siano dei cambiamenti politici, un nuovo governo o un secondo referendum o almeno un altro piano sull’unione doganale. Altrimenti, il Regno Unito esce dall’Ue senza accordo. Da mesi, la May dice ai parlamentari: o il mio accordo o nessun accordo, ma Campbell dice che la scelta binaria “è falsa” e che “qualunque sia l’esito di questo processo, ora sappiamo che la Brexit promessa non è fattibile, e la Brexit della May è così detestata che credo che sia undemocratic, non democratico, non sottoporre la scelta di nuovo agli elettori britannici”. La fatica della democrazia sta tutta qui, nel litigarsi la volontà popolare, ma per quanto sia doloroso, questo sfinimento, è anche questa la forza dei nostri sistemi democratici.

  

Oggi a Londra è prevista la marcia del People’s vote, il gruppo che chiede un secondo referendum sull’Europa e che già lo scorso anno ha portato in piazza a Londra settecentomila persone. Campbell, che è un grande sostenitore della marcia, ripete lo slogan – Put it to the people – e dice che l’Europa deve pretendere “chiarezza su che tipo di Brexit vuole il Parlamento”. L’appuntamento è a mezzogiorno a Park Lane, all’una si parte in direzione Parliament Square. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha detto: “Ne abbiamo abbastanza, togliamo la questione dalle mani dei politici e ridiamola agli elettori”. La crisi istituzionale, a Londra, ha raggiunto la tensione massima, la parola più utilizzata è “tradimento”, e a sentirsi tradito è chiunque, chi vuole la Brexit, chi non la vuole, parlamentari, ministri, cittadini, tutti quanti.

 

Il People’s Vote non ha mostrato finora la capacità di creare in Parlamento una maggioranza per il proprio progetto e ha due settimane e mezzo per trovare questa abilità e avere successo. Possibile, ma non probabilissimo. Jeremy Corbyn, leader del Labour, è come sempre aperto a tutte le opportunità: la sua presenza alla marcia non è né smentita né confermata, ma il suo piano – un nuovo voto per andare al potere e fare la “sua” Brexit di cui nessuno sa nulla – prende quota. Quanto ha contribuito l’ambiguità del Labour a questo panico, da 0 a 10? “Non voglio dare voti – dice Campbell – Mi sarebbe piaciuto che il Labour avesse fatto campagna per il referendum e che fosse a favore del People’s Vote in modo più aggressivo. Parla ancora di una Brexit negoziata che metta il lavoro al primo posto, ma non credo che esista una Brexit del genere”. E se si andasse per l’opzione nucleare, la revoca dell’articolo 50? “Ora sono a favore di sentire che cosa pensano gli inglesi – dice Campbell – così possiamo sapere se il paese ha cambiato idea. Ma se il no deal è l’unica opzione, allora sarei per la revoca”. Campbell, come tutti gli inglesi, sente addosso il peso dell’umiliazione, “siamo diventati lo zimbello globale – dice – L’unico modo per fermare questo declino è affrontarne la ragione: la Brexit”. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi