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L'accordo con la Cina mette a rischio anche i satelliti

Giulia Pompili

Il governo dice che “telecomunicazioni” non vuol dire solo 5G. Gli altri problemi dell'intesa con il Dragone 

Roma. Alla fine ha vinto il ministero dello Sviluppo economico. Perché nell’intesa con la Cina, tra le altre cose, la parola “telecomunicazioni” c’è eccome. E c’era da aspettarselo, forse, visto che era stato proprio il Mise, il 7 febbraio scorso, a smentire frettolosamente con una scarna nota le indiscrezioni della stampa che volevano i giganti delle telecomunicazioni cinesi – Huawei e Zte – bandite dall’Italia per motivi di sicurezza nazionale. La collaborazione tra Italia e Cina sulle telecomunicazioni ci sarà, ma per tranquillizzare i partner americani ed europei (preoccupati da tempo delle possibili implicazioni dell’ingresso di aziende cinesi nell’infrastruttura del 5G) il governo gialloverde ha imposto una narrazione quantomeno curiosa. 

     

Invece di fare come la Germania e come la Gran Bretagna, e cioè rassicurare i partner sulla capacità del singolo paese di monitorare con attenzione le tecnologie senza avere “pregiudizi” – ha detto la cancelliera Merkel – su certi paesi, il governo gialloverde si è lanciato in sofisticate interpretazioni del passaggio: “Il memorandum parla di telecomunicazioni, non di Huawei”, ha detto qualche giorno fa a Bloomberg il sottosegretario al Mise Michele Geraci, il più attivo sul fronte cinese e in particolare su quello delle telecomunicazioni, e lo ha ripetuto domenica scorsa a Radio Radicale. Anzi, ha detto: “Il 5G non c’entra niente con questo MoU. Le telecomunicazioni sono a tutto campo, telecomunicazioni non è uguale a 5G, il 5G è un sottoinsieme su cui staremo attentissimi, significa anche collaborazioni sui satelliti”, ha detto il sottosegretario. “Per esempio quelli su cui l’Italia è molto avanti e collabora con la Cina per la rivelazione del… diciamo, si cerca di anticipare i problemi dei terremoti (che però non si possono anticipare, né prevedere, come sa bene il Giappone e, purtroppo, l’Italia, ndr) […] attraverso le telecomunicazioni via satellite si fanno studi, abbiamo la nostra bravissima astronauta, la Samantha (intendendo l’ufficiale dell’Aeronautica militare e astronauta dell’Agenzia spaziale europea Samantha Cristoforetti, ndr) con l’Agenzia spaziale cinese, l’Italia tra i paesi europei è l’unico paese che fornisce un componente importante della stazione spaziale europea (che non esiste: l’unica stazione spaziale attualmente in orbita è la stazione spaziale internazionale, l’Italia ha anche una collaborazione con l’agenzia spaziale cinese che presto manderà in orbita una sua stazione, ndr) l’Avio è il satellite che ha un tasso di successo del cento per cento (Avio in realtà è la società produttrice del lanciatore Vega, un gioiello dell’aerospazio italiano, ndr)”. Che cosa c’entri tutto questo con il memorandum cinese non è dato saperlo. Sui satelliti, però, vale la pena fare una riflessione. Quando il Mise dice che “telecomunicazioni” vuol dire anche collaborazione sui satelliti con la Cina, apre in realtà l’ennesimo fronte di malmostosità in Europa.

   

Uno dei programmi più ambiziosi dell’Unione europea riguarda infatti i satelliti: il “Galileo” è un progetto avviato nel lontano 2003 in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea. Ogni paese membro ha finanziato il mastodontico sistema satellitare dal costo di oltre 10 miliardi di euro, che dovrebbe dare vita a un sistema di localizzazione alternativo a quello americano che usiamo attualmente, il Gps. Il Galileo, che non è ancora completamente operativo ma la sua messa in orbita è pressoché completa, offre vantaggi soprattutto dal punto di vista della sicurezza, e secondo i calcoli dell’Agenzia spaziale europea dovrebbe rendere dieci volte il costo iniziale affrontato dai singoli paesi. Se ne è parlato tempo fa soprattutto per via della Gran Bretagna, che con la Brexit avrebbe affrontato il serio rischio di non accedere ai dati (e la decisione finale ancora non è stata presa). A questo punto, però, l’Italia potrebbe mettere in difficoltà i paesi partner: una collaborazione sui satelliti con la Cina mette a rischio la “purezza” del progetto esclusivamente europeo. La Cina ha il suo sistema di posizionamento satellitare che si chiama BeiDou, progetto strategico sul quale anche Pechino ha investito moltissimo. Domenica scorsa, a Villa Madama, l’Agenzia spaziale italiana ha firmato un’intesa con quella cinese sulla cooperazione relativa alla missione “China Seismo-Electromagnetic Satellite 02”, che è quello a cui si riferiva Geraci nell’ambito degli studi sui terremoti. Un fine nobile e utile, ma la tecnologia dei satelliti è sempre la stessa, e la condivisione di informazioni e dati possono passare da un’Agenzia all’altra, da un paese all’altro extraeuropeo. In un momento in cui il presidente americano Donald Trump vuole lanciare la sua Space Force per “proteggere i satelliti americani” nello spazio, è evidente l’interesse che ha l’Europa di salvaguardare i suoi, senza interferenze.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.