Siamo alla resa dei conti degli sconvolgimenti del 2016
La conferma della destabilizzazione russa e lo sconforto del divorzio dall’Ue
Il 2016 è stato l’anno dello sconvolgimento, la Brexit a giugno, l’elezione di Donald Trump a novembre: nulla sarà più come prima, dicevamo, e abbiamo iniziato a prendere le misure del mondo capovolto, l’Europa che diventa un posto da cui fuggire mentre per settant’anni la gente ha fatto carte false (letteralmente) per entrarci, e l’America che sceglie un presidente imprevedibile, sdottrinato, col cappellino rosso che parla di una grandezza che lascia fuori tutti gli altri, cioè noi.
Oggi, in questo instabile 2019, stiamo cominciando ad arrivare alla resa dei conti dei fatti del 2016. Il procuratore speciale americano messo a indagare sulle interferenze russe nell’elezione di Trump ha consegnato il rapporto finale della sua inchiesta: non ne conosciamo il contenuto, ma soltanto quel che il ministero della Giustizia ha condiviso con il Congresso. Dalla lettera del ministro, William Barr (qui il testo integrale), si evince che non c’è stata collusione tra il presidente americano e il governo russo: sappiamo dai trascorsi di questa inchiesta – il cosiddetto Russiagate – che buona parte delle interferenze è stata portata a termine da intermediari (molti sono già in prigione) e non da esponenti ufficiali dei rispettivi governi. La “non collusione” è una gran buona notizia, ma quello che il rapporto del procuratore generale conferma è invece molto preoccupante: l’interferenza russa c’è stata, tramite intermediari vicini al Cremlino – la lettera cita la famigerata Internet Research Agency, la “fabbrica dei troll” – ed è stata dimostrata. Quest’attività di destabilizzazione da parte della Russia non riguarda soltanto l’America: è una strategia che Mosca ha deciso di adottare in tutto l’occidente, come dimostrano i rapporti sulle interferenze nel voto della Brexit e le attività sui social in Francia, Italia e Germania (quest’ultima si è rivelata molto più impermeabile degli altri paesi). Per i prossimi appuntamenti elettorali in occidente, il tema non è più se i russi faranno qualche interferenza, ma come e con che forza. Tra tutti gli sconvolgimenti, questo è quello che ci riguarda più da vicino, avendo in Italia al governo un partito – la Lega – che ha un patto scritto di collaborazione con il partito di Vladimir Putin.
La resa dei conti per quel che riguarda la Brexit non è altrettanto sconvolgente: semmai è deprimente, questo sì. Sono passati più di mille giorni dal referendum del 2016 in cui la maggioranza degli inglesi votò a favore del divorzio con l’Unione europea, e tutte le opzioni sono ancora lì, possibili, nella loro inquietante fragilità. Leggendo i giornali britannici in questi giorni, pare di essere catapultati indietro: sono entrati nuovi termini nella nostra quotidianità – il backstop, per esempio – ma la frattura europea non si è certo rimarginata, anzi, e quando i commentatori dicono che “tutto è possibile” di fatto confermano l’impossibilità della Brexit. Il Regno Unito ci metterà molto tempo a riprendersi da questo suo attentato alla propria credibilità e la storia ci insegna che il declino degli inglesi non è mai a costo zero per noi europei del continente, per quanto oggi abbiamo già un pochino imparato a difenderci dagli estremismi nazionalisti di Londra. Per l’Europa in generale, l’esperienza della Brexit, o meglio del suo negoziato, è stato un gran bel ripasso: prima di questa causa di divorzio non avevamo idea di quanto fosse utile essere parte del progetto europeo, e così abbiamo smesso di parlare in modo vago di “europeismo”: volendo possiamo essere precisissimi sui benefici di questa alleanza.
I lividi restano, non è una resa dei conti indolore, tutt’altro. Ma per una volta noi europei, invece che lamentarci soltanto del dolore, possiamo fare tesoro di questo bagno di realtà: ci sono le elezioni europee, il momento in cui possiamo dimostrare di aver capito qualcosa, in questi anni sconvolgenti.