Brexit, dibattito sull'accordo di revoca del governo alla Camera dei Comuni a Londra (foto LaPresse)

Ultimatum europeo

David Carretta

May sconfitta per la terza volta, l’Ue dà due alternative a Londra: proroga lunga o no deal (che però prevede un accordo!)

Bruxelles. L’Unione europea ha dato al Regno Unito un ultimatum di dieci giorni per decidere tra un no deal alla mezzanotte del 12 aprile o la richiesta di una proroga dell’articolo 50 almeno fino alla fine del 2019, dopo che la Camera dei Comuni venerdì ha rigettato per la terza volta l’accordo di recesso del governo con 344 no contro 286 sì. Theresa May non si è dimessa, lasciando intendere che potrebbe tentare un quarto voto. Ma, qualche secondo dopo che lo speaker John Bercow ha annunciato il risultato, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha annunciato via Twitter un vertice straordinario dei capi di stato e di governo il 10 aprile.

 

Il governo inglese deve prendere una decisione entro l’8 aprile per dare tempo ai 27 di valutarla. Secondo il Consiglio europeo del 21 marzo, visto che l’accordo non è stato approvato, cade la proroga fino al 22 maggio. Il Regno Unito si trova dunque di fronte a due alternative secche. La prima opzione è il no deal con tutto quello che comporta in termini di danni per l’economia britannica, il suo sistema politico, la sua credibilità nel mondo. La Brexit senza accordo il 12 aprile “ora è uno scenario probabile”, ha detto un portavoce della Commissione, sottolineando che l’Ue è “totalmente pronta”. La seconda opzione è quella della capitolazione: chiedere un rinvio dell’uscita senza sapere se e quando ci sarà; accettare di partecipare alle elezioni europee a fine maggio; dare una ragione seria come elezioni politiche anticipate, un secondo referendum o un nuovo piano per le relazioni future con l’Ue; riconoscere che l’unica strada per un’intesa è una Brexit più soft che implicherà meno sovranità. Anche in caso di no deal, l’Ue resterà ferma sui princìpi dell’accordo raggiunto con la May: i 27 non tratteranno con Londra fino a quando non avrà garantito i diritti dei cittadini britannici, pagato i 45 miliardi del conto Brexit e accettato il backstop.

  

La linea dell’Ue è stata fissata in una riunione degli ambasciatori dell’Ue mercoledì. I preparativi per il no deal sono in stato avanzato. Europarlamento e Consiglio hanno già approvato 17 proposte legislative su 19 che la Commissione ha presentato per minimizzare il caos in alcuni settori vitali (trasporto aereo, pesca, finanza). I due testi ancora aperti riguardano i visti (la Spagna fa ostruzionismo per Gibilterra) e il bilancio Ue (Germania e Olanda sono spaventate dal conto che dovranno pagare). Ma le misure sono temporanee e condizionate a decisioni analoghe di Londra. “Mini accordi settoriali non sono un’opzione”, ha avvertito la Commissione: “I benefici dell’accordo di ritiro, incluso un periodo transitorio, non saranno replicati”. Dopo un’uscita senza accordo, Ue e Regno Unito dovranno negoziare una o più intese che stabilizzino i rapporti. La strategia dell’Ue è di non fare alcuna concessione. Il segretario generale della Commissione, Martin Selmayr (che ieri ha twittato: “Il 12 aprile è il nuovo 29 marzo”), ha spiegato agli ambasciatori che il giorno dopo il no deal non si potrà tornare al “business as usual”. L’Ue deve fissare “precondizioni che riflettano gli interessi europei”: nessun negoziato con Londra se il conto della Brexit non sarà onorato, se i diritti dei cittadini europei non verranno protetti e se non sarà preservato il backstop. In sintesi, anche dopo il no deal si ricomincerà dallo stesso punto: la sostanza dell’accordo May.

  

Sul piano politico la Francia insiste con la linea dura. “Accelereremo la fase finale dei preparativi” per il no deal, ha detto Emmanuel Macron. Anche Angela Merkel avrebbe esaurito la pazienza. “Il settore dell’Auto tedesco dice di essere pronto e sta facendo pressioni sulla cancelliera per mettere fine all’incertezza perché inizia ad avere un costo più alto del no deal”, spiega al Foglio una fonte comunitaria. Altri leader si aggrappano ai voti indicativi di lunedì ai Comuni nella speranza che emerga un consenso almeno sull’unione doganale. “Dobbiamo essere aperti a una proroga lunga nel caso in cui Londra decidesse di riconsiderare il suo approccio alla Brexit e mettesse sul tavolo opzioni precedentemente escluse”, ha detto il premier irlandese, Leo Varadkar, il cui paese soffrirà più di tutti per la Brexit: “Credo che ci sarà una risposta generosa dei 27”. Michel Barnier, che aspira a presiedere la Commissione e ha fretta di togliere gli abiti di capo negoziatore, ha annunciato di essere pronto a cambiare la dichiarazione politica “in 48 ore” per inserire l’unione doganale. Ma “spetta al Regno Unito indicare la strada da seguire prima del 10 aprile”, ripetono a Bruxelles e nelle altre capitali europee. E 10 giorni sono molto pochi per un paese che dal referendum Brexit non è più in grado di fare una scelta.

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