L'Ucraina impaziente va al voto
Il comico, l’incantatrice, l’usato sicuro. Tre candidati, una corsa presidenziale dominata dalla fretta di vedere se qualcosa cambia. Ecco come sarà Kiev dopo le elezioni di domenica
E’ la sfiducia e anche un po’ la fretta. Sono il senso di impazienza, e la voglia del tutto e subito che stanno dominando la campagna elettorale in Ucraina. Domenica si vota ed è soltanto la prima parte della sfida, il 21 ci sarà il ballottaggio e si affastellano nomi, si scivola in un universo di promesse e in una sfida tra oratori e nella confusione di arringhe bilingui – perché gli ucraini parlano sia l’ucraino sia il russo, la parte orientale del paese si esprime in russo per una storia che ancora fa male e risale ai tempi in cui la maggior parte degli abitanti delle province dell’est della nazione fu portata in Siberia – ci si ferma a chiedere come sarà l’Ucraina dopo il voto di domenica. E’ tutto un promettere, un cercare nemici, perché a Kiev, come nel resto del mondo, gli avversari politici si combattono così: vendendo l’irrealizzabile e cercando il nemico.
L’Ucraina un nemico ce lo ha davvero, ce lo ha in casa, ci combatte una guerra fatta di uniformi, armi, morti e tregue rare. Tutto questo in un’elezione scomposta e dai toni molti accesi aumenta il rischio della vittoria dei populisti, che sono anche a Kiev. Se ci si ferma un attimo e si ripercorrono questi cinque anni, all’indietro, si arriva alle elezioni presidenziali dopo Euromaidan, quelle folli elezioni così piene di voglia di Europa, di voglia di crescere, di voglia di riscatto, di voglia di dimostrare che anche l’Ucraina poteva farcela, sognava la Nato, sognava l’Ue. E le sogna ancora, ma il voto di domenica è diverso, questi cinque anni sono arrivati tra mille polemiche, non esistono vincitori e Petro Poroshenko che pure ha tentato di portare a termine le sue promesse, ora cerca di emergere dalle acque di questa campagna elettorale ambigua, cerca di dimostrare che i fatti ci sono, che l’Ucraina sta meglio, è più ricca, è più sicura, è più stabile. C’è la guerra, ma la guerra ci sarà sempre perché non dipende tanto dagli ucraini, quanto dai russi. “C’è un solo uomo che può far finire la guerra e non è ucraino, si chiama Vladimir Vladimirovich Putin. Se un nostro presidente vuole far finire la guerra allora dovrà cedere i territori a est, nessuno sarà disposto a farlo”, dice al Foglio Katia Sadilova, giornalista ucraina.
Gli ucraini hanno ancora voglia di Europa, ma non capiscono che la strada per l’Unione è fatta di sacrifici e riforme dolorose
Il presidente è il capo delle Forze armate e, se vince il comico, sarà difficile prevedere la reazione dei militari che combattono a est
Ma forse mai come in queste elezioni, che appaiono confuse e arrabbiate, si era provata la sensazione che i candidati siano una valanga di nomi, di storie, di ruoli. Alla fine saranno trentanove gli aspiranti presidenti, ma si parla soltanto dei primi tre. In parte per comodità, in parte perché la sfida sarà tra questi nomi, ognuno famoso, a modo suo. Quasi una commedia, sembrano personaggi, figure che avranno il loro peso nel determinare il futuro di una nazione che non trova pace. C’è l’attuale presidente, Petro Poroshenko, c’è l’ex primo ministro incantatore, Yulia Tymoshenko e c’è l’attore, Volodymyr Zelensky.
Poi c’è il resto, gli altri, molti dei quali ex: ex ministri, ex deputati, ex militari, ex capi, ex giornalisti. L’ex ministro della Difesa, Anatoliy Hrytsenko, marito della giornalista Yulia Mostova, è conosciuto per aver venduto tutte le armi, i missili, i carri armati dell’esercito ucraino e per aver lasciato la nazione inerme di fronte alla minaccia russa, si è candidato anche lui sebbene nei cittadini il ricordo di quella scelta sia ancora vivo. Ihor Shevchenko invece è stato ministro dell’Ecologia, sapendo di non avere particolare chance di vincere e di essere sovrastato da nomi più promettenti del suo ha deciso di miscelare realtà e finzione, ne ha approfittato per cercare moglie e la sceglierà tra le trecento donne che si sono candidate per questo ruolo. Possibilità di vincere ne ha poche, e a guardare il suo programma elettorale – promette misure autoritarie per combattere la corruzione – forse è meglio così. Tra i candidati ci sono anche l’ex sindaco di Leopoli, militari, un ex capo dei servizi segreti ucraini. C’è l’uomo dei russi, Yuri Bojko, ex ministro dell’Energia, che prenderà molti voti nella parte orientale dell’Ucraina e che fa avanti indietro dall’Ucraina a Mosca e da Mosca all’Ucraina in cerca di direttive e consigli.
Nomi e profili che sembrano usciti dalla finzione, ruoli ameni, frasi scomposte, così la campagna elettorale ucraina si sta trasformando nel copione di una commedia, ma in cui si ride di un sorriso dolente e amaro perché il rischio è voltarsi indietro e veder scomparire i progressi che negli ultimi cinque convulsi anni l’Ucraina è riuscita a ottenere per sentirsi un po’ più vicina all’occidente, all’Europa. Volodymyr Zelensky è uno dei più giovani candidati, è un attore, un comico reso celebre da una serie tv durata abbastanza da rendere il personaggio principale, Vasyl Holoborodko, talmente familiare per i cittadini che ora lo vogliono come presidente. Holoborodko nella serie è un professore, va in bicicletta, rifila risposte pungenti ai maleducati e aiuta i più deboli a emergere. Fa discorsi ispirati e motivazionali e alla fine viene eletto presidente, la serie si chiama “Il servitore della gente”, e il professore è interpretato da quella faccia sorniona che ora è raffigurata in tutti i manifesti in giro per l’Ucraina. La faccia di Volodymyr Zelensky, un comico con poco carisma, ma per molti ben costruito dall’oligarca Ihor Kolomoiski, ex proprietario di Privat Bank, banca nazionalizzata dal governo ucraino nel 2016. Kolomoiski è in guerra con Poroshenko, e la campagna elettorale di Zelensky in realtà inizierebbe da lì, dall’idea dell’oligarca di creare una serie tv, di lasciare che Zelensky entrasse nelle case degli ucraini già nel 2015 come il presidente perfetto ancor prima delle presidenziali. L’oligarca possiede anche i canali televisivi sui quali è andata in onda la serie e sui quali vengono trasmessi gli interventi di Zelesnky, che sarà sì un comico ma non è un grande oratore. Non conosce l’ucraino, parla russo ma con diversi difetti: “Ha un basso livello culturale”, dice Katia.
Zelensky che rilascia interviste soltanto ai giornalisti delle reti del miliardario, interviste con domande comunicate in precedenza a detta di diversi giornalisti, ha annunciato la sua volontà di candidarsi l’ultimo dell’anno, proprio da quei canali. Lo ha fatto mentre sulle altre reti andava in onda il discorso del presidente Poroshenko. Zelesnky gli ha rubato la scena, con prepotenza, con un discorso scritto e riscritto con la sua faccia che per la maggior parte degli ucraini non appartiene a lui, bensì a un professore idealista. Zelensky è la novità, ha nel suo staff un piccolo esercito di riciclati, transfughi di altri partiti, tra cui il giornalista Serghij Leshchenko. L’operazione di Kolomoiski probabilmente era iniziata da tempo, e Poroshenko se ne è accorto tardi. Pochi giorni prima del voto il presidente ucraino ha annunciato una causa contro 1+1, la stazione televisiva di proprietà dell’oligarca, lo ha accusato di diffondere menzogne come vendetta per l’antica questione della nazionalizzazione della Privat Bank. Ma Zelensky rimane in testa nei sondaggi, seppur con il suo ucraino stentato – “non verrà accettato dai cittadini”, ci dice Katia Sadilova – e con il suo russo semplice.
Dietro di lui, ci sono Yulia Tymoshenko e Petro Poroshenko. La prima una vecchia frequentazione della politica ucraina, due volte primo ministro, un’incantatrice, carismatica, assetata di populismo e al contrario di Zelensky in grado di attrarre la folle, ma non i voti. Ha un problema, rappresenta il vecchio mondo, rappresenta l’establishment, le promesse non mantenute. E’ una figura, un simbolo, l’immagine di lei che sbuca, bionda e bellissima, da dietro le sbarre del carcere di Kiev, è rimasta a lungo nella memoria di una popolazione che ci ha messo anni, e vite umane, per lottare contro una classe politica legata al Cremlino. Yulia Tymoshenko ha avuto le sue occasioni, le sue condanne – “è in politica da trentadue anni”, ci dice Katia – e il suo nome porta con sé un senso di stanchezza, di antico, di ripetitivo. Zekensky è fresco, è nuovo, è una scatola vuota, il costume di scena di un presidente perfetto. E con lei come presidente ci sarebbe un’Ucraina un po’ meno filoeuropea, un’Ucraina isolata.
Petro Poroshenko in tutto questo scambio di ruoli, questa commedia dal sarcasmo acidulo, ha il ruolo più tragico. Ha trascorso il suo primo mandato nel tentativo di ottenerne un secondo, “in questi cinque anni l’Ucraina è cambiata in meglio, Poroshenko ha fatto molte riforme, ha riformato le Forze armate, anche contro la corruzione si è mosso, non è stata sradicata, ma non si può dire che non abbia tentato di combatterla”, dice Katia enumerando le conquiste di Poroshenko che oltre ad aver rimesso in piedi le Forze armate, ha anche dato a Kiev una chiesa indipendente da quella di Mosca e ha assicurato un regime senza visti. Promesse fatte e conquistate, ma probabilmente al presidente verrà dato il ruolo di spettatore in questa storia caotica. “Poroshenko è un ottimo diplomatico e si è anche impegnato a garantire la presenza dell’Ucraina sulla scena internazionale”, ma rischia di non arrivare nemmeno al secondo turno. L’Ucraina a metà tra oriente e occidente, con i suoi traumi, la guerra sul suo territorio, si avvia verso le elezioni senza fiducia e non c’entra la Russia, che anche in questa commedia ha un ruolo.
Secondo Opora, centro che si occupa di sondaggi e di analisi elettorali, più dell’80 per cento degli elettori ucraini ritiene che queste elezioni presidenziali saranno truccate, è il livello più basso mai raggiunto. L’Ucraina si volta indietro e vede promesse, ha paura delle interferenze – Zelensky contro la disinformatia ha messo su una squadra che monitora costantemente i social media per vedere se vengono diffuse notizie false sul suo conto – e ha paura della vecchia politica e delle reazioni a una campagna elettorale dai toni accesissimi. La scorsa settimana Poroshenko è dovuto scappare da un gruppo di nazionalisti, “che poi nazionalisti non sono, il gruppo Svaboda che prega sulla bandiera ucraina è finanziato da Mosca”, spiega Katia.
Soltanto Putin può mettere fine alla guerra nel Donbass. Per un presidente ucraino è impossibile: dovrebbe cedere i territori orientali
Con Poroshenko l’Ue e la Nato sanno cosa aspettarsi, con Tymoshenko pensano di saperlo. Con Zelensky non ne hanno idea
A voltarsi indietro è anche l’Unione europea a guardare quella rivoluzione, a ricordare le promesse, è anche Bruxelles dove si fatica a vedere con entusiasmo a qualcuno dei candidati. Tuttavia ci sono differenze: con Poroshenko l’Ue sa cosa aspettarsi, con Tymoshenko – come ha detto una fonte diplomatica alla Reuters – pensa di saperlo e con Zelensky non ne ha idea. Ogni candidato ha i suoi difetti, nessuno per l’Ue rappresenta un partner perfetto, ma l’Ucraina rimane una ferita, i combattimenti nella regione del Donbass vanno avanti, i morti aumentano, è da cinque anni che si spara e che si muore e a queste elezioni le repubbliche di Donetsk e Lugansk non voteranno. L’Ucraina ha continuato a combattere per mantenere alta la propria causa e non lasciarla scivolare via dall’agenda internazionale, con Poroshenko ha spinto per un’adesione all’Unione europea e alla Nato, lo farebbe anche con Tymoshenko, ma con Zelensky non si sa. Kiev è la congiunzione tra l’oriente e l’occidente, è l’attimo prima della Russia, lasciarla entrare tra i paesi membri – l’adesione per ora non è in agenda, è un’aspirazione – vorrebbe dire avere Mosca al confine. “Qualora dovesse vincere Zelensky bisogna ricordare che avrebbe soltanto la carica di presidente, ma il potere di fare leggi rimane in Parlamento – dice Katia – Le elezioni parlamentari saranno in autunno e probabilmente l’attore non ha intenzione di prendersi anche il governo – se è vero che è un fantoccio di Kolomoiski, dell’oligarca, per proteggere i suoi affari il Parlamento non serve – la cui maggioranza potrebbe rimanere a Poroshenko, quindi l’impegno verso l’Unione europea e la Nato rimarrebbe invariato”. Bruxelles si aspetta delle rassicurazioni, e un presidente imprevedibile potrebbe voltare le spalle all’ovest e riavvicinarsi a Mosca mettendo a repentaglio i finanziamenti internazionali e i legami con un blocco che ha dato molto agli ucraini. I diplomatici europei temono che dopo l’elezione, chiunque sarà il vincitore, ci saranno accuse di brogli, ricominceranno le proteste e l’Ucraina rischia di sprecare il suo 2014, che già a molti, soprattutto ai più giovani, appare lontano e dimenticato. Una vittoria di Zelensky, ad esempio, ci racconta Katia, rende imprevedibile la reazione dei militari che sono molto fedeli a Poroshenko, “ha pagato di tasca propria per migliorare le vite dei soldati che combattono sul confine orientale”, potrebbero rifiutarsi di obbedire a un presidente che ha pagato per non fare il servizio militare.
Non sarà un’Ucraina stravolta quella che l’Europa si ritroverà al suo fianco dopo le elezioni. Sarà un’Ucraina pigra che se vincerà Zelensky avrà deciso di votare per un volto vuoto, con la freschezza dell’antiestablishment. “Gli ucraini non sono insoddisfatti di quello che è stato fatto, ma non hanno pazienza, è un popolo che non capisce che la strada per l’Europa è fatta di sacrifici, riforme dolorose – ci spiega Katia – Come hanno fatto Polonia, Repubblica ceca e tutti gli altri paesi che hanno passato il Dopoguerra sotto l’influenza di Mosca. E’ pronta a votare il primo populista che promette l’impossibile”. Se non possono avere l’Ue subito, vanno a cercarsela, soprattutto nella vicina Polonia che ha accolto circa due milioni di ucraini, forza lavoro e studenti. E’ il più grande esodo intraeuropeo della storia, gli ucraini, soprattutto i più giovani sono andati a cercarsela l’Unione che in patria tarda ad arrivare.
Che la guerra finirà, che l’economia andrà benissimo, che l’Ucraina non ha bisogno di nessuno, è libera, può contare su stessa, non ha bisogno dell’Ue se l’Ue non le darà tutto e subito, sono molti degli argomenti portati avanti dalla Tymoshenko e da Zelensky. L’Ucraina che verrà forse non sarà molto diversa da questa di ora, ma sarà un po’ più lontana da quella di Euromaidan, avrà ancora voglia di Europa e di Nato, ma con fretta. L’Ucraina del futuro ancora non c’è, gli ucraini devono ancora costruirselo il futuro. In questi cinque anni Poroshenko ci ha provato, ma non è bastato. Gli ucraini hanno fretta e si aggrappano alle promesse.