Qualcosa si è rotto nel racconto europeo, e si vede. La tesi di una storica
La proposta di Christine Cadot e la prima guerra mondiale
Roma. Ritroviamoci a Verdun e sulle rive della Somme. Ritroviamoci sui libri di storia, a Caporetto, in tutte quelle battaglie che hanno fatto sì che l’Europa nascesse come una necessità e come un desiderio di pace. Christine Cadot è una storica, insegna all’università Paris 8, e ha scritto molti libri, l’ultimo dal titolo “Mémoire collectives européennes”, Memorie collettive europee. Quando nel bollettino ufficiale della Pubblica Istruzione non è apparso alcun riferimento alla battaglia di Verdun nei programmi di storia, in molti hanno avuto da ridire. Si tratta di uno dei capitoli più dolorosi ed eroici della storia francese, con più di 700 mila vittime tra soldati francesi e tedeschi, la Cadot ha risposto con un editoriale sul Monde per dire che Verdun è stata nei libri di storia soltanto nel 2016, per il suo centenario, ma ha fatto presente che il problema legato al ricordo di quella battaglia ha sì a che fare con i tormenti della memoria nazionale ma anche con la ricerca di europeizzazione. Ma europeizzare la nostra coscienza storica, fa presente la docente, non vuol dire eliminare le tracce, le ferite che la storia ha lasciato sul territorio europeo.
Forse bisogna fare una giravolta di centotrè anni per ricordare che a Verdun si scontrarono l’esercito tedesco e quello francese, per Parigi fu una vittoria difensiva, che è stata poi trasformata in una pagina fondamentale della storia nazionale. Ma ci sono anche i tedeschi di mezzo e in Francia c’è chi crede che ci si dimentichi di Verdun nel nome dell’amicizia franco-tedesca che dopo il trattato di Aquisgrana firmato da Angela Merkel e da Emmanuel Macron lo scorso gennaio ha ripreso nuovo vigore, tanto da portare all’organizzazione della prima seduta parlamentare a due, cento deputati, cinquanta tedeschi e cinquanta francesi, per abituare i politici a pensare “europeo”. Ma i fatti storici non andrebbero accantonati, dice Cadot, tanto più che non c’è motivo di pensare che la battaglia possa ancora riaccendere dissapori e inimicizie. L’amicizia franco-tedesca rimane e c’è un’immagine, più forte di ogni discorso o programma elettorale, che ricorda che l’Europa e lo spirito europeo sono più forti delle rivendicazioni. L’immagine è quella che mostra François Mitterrand e Helmut Kohl che si tengono la mano. Era il 1984, davanti a loro c’era l’ossario di Douaumont, alle loro spalle il desiderio di farsi vedere uniti di fronte a quel dolore e di fronte a ogni ferita storica.
La Francia si era preparata alla commemorazione del centenario della fine della Prima guerra mondiale con largo anticipo, il presidente francese Macron aveva deciso di fare di quell’11 novembre del 2018 la celebrazione dell’europeismo per ricordare il dolore e festeggiare la fine di tutto questo grazie all’Unione europea. Ma anche durante quei festeggiamenti c’era chi insisteva nel dire che la battaglia di Verdun è atemporale e, spiega Cadot, lo stesso dibattito, la difesa ostinata, il voler ricordare quella battaglia a ogni costo sono una malattia antica del popolo francese, la stessa malattia che ha contribuito a creare per qualcuno la retorica di Philippe Pétain come grande soldato, ma il Pétain di Verdun è lo stesso di Vichy e in questa gaffe è inciampato anche Macron quando nel suo tour per omaggiare i luoghi della Grande guerra cadde nell’errore di dire che Pétain, “nonostante le scelte disastrose” era stato “un grande soldato”. Ne sono venute fuori polemiche decontestualizzate, le parole del presidente si riferivano alla domanda di un giornalista che chiedeva se, tra i marescialli della Prima guerra mondiale che sarebbero stati omaggiati agli Invalides a Parigi, era prevista una riconoscenza anche per Pétain.
Per evitare che la memoria diventi un feticcio ideologico, una scatola vuota da riempire di significati politici facilmente manipolabili in tempi di nazionalismi, Christine Cadot è intervenuta per dire che l’Ue ha bisogno di un grande racconto europeo, di ragionare insieme sul proprio terreno identitario. Qualcosa nel racconto di noi europei si è rotto proprio lì, cento anni fa. Nelle memorie della Grande guerra c’è un vuoto da riempire di racconti da ascoltare mentre ci teniamo tutti, mano nella mano.
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