Il presidente Erdogan con la moglie (foto LaPresse)

Erdogan perde Ankara, Istanbul è in bilico

Daniel Mosseri

Il presidente turco va male alle elezioni amministrative, e quello che succederà nella città più grande del paese potrebbe segnare il suo futuro. Ma non è ancora una rivoluzione politica

Le elezioni amministrative di domenica in Turchia non sono andate bene per il presidente Recep Tayyip Erdogan, e l’onda lunga del suo Partito per la Giustizia e lo sviluppo (Akp) sembra essersi fermata. Ad Ankara – da 25 anni saldamente nelle mani dell'Akp – ha vinto il Chp, il Partito popolare repubblicano di Kenal Kiricdaroglu. La stessa formazione esprimerà il sindaco di Smirne e quello di Antalya. Più a est, a Diyarkabir, Mardin, e Van si è affermato nettamente l’Hdp, quel Partito Democratico dei Popoli socialista e filo curdo molti dei cui leader sono stati arrestati nei mesi scorsi con l’accusa di terrorismo per presunte connivenze con il Pkk.

 

Ma per Erdogan la situazione è particolarmente complicata anche a Istanbul: durante la notte il candidato dell’Akp, l’ex primo ministro Binali Yildirim, è apparso scuro in volto davanti alle telecamere per annunciare la vittoria grazie a un margine di 4 mila voti. Pochi, in una città da 15 milioni di abitanti. A ruota anche il candidato del Chp, Ekrem Imamoglu, proclamava la vittoria con un margine appena più sostanzioso: 28.000 voti. Imamoglu ha anche accusato l’agenzia Anadolu di aver imposto un molto poco democratico silenzio stampa sui risultati nella più grande città del paese. Ci vorranno alcune ore prima che le autorità annuncino i risultati ufficiali ma l’incertezza a Istanbul è il segnale che il meccanismo del consenso si è inceppato. La metropoli sul Bosforo è la città-simbolo di tutta la carriera politica del “sultano”: qua è nato nel 1954 e qua ha iniziato la sua corsa facendosi eleggere sindaco all’età di 40 anni.

 

Da allora Erdogan ha infilato le vittorie elettorali una a una, come le ciambelle: elezioni amministrative, legislative, referendum istituzionali, elezioni presidenziali. Fedele al motto “chi vince a Istanbul vince nel paese”, il presidente si è impegnato in prima persona per la tornata elettorale di domenica e se si considera che gran parte della stampa tifa Akp, si capisce ancora meglio la portata della sconfitta.

 

Questa tornata elettorale non è però una rivoluzione politica. Ben saldo al palazzo presidenziale come in Parlamento e ancora forte nel paese, Erdogan si è leccato le ferite: “I risultati preliminari indicano che l’Akp è il primo partito, molto staccato dagli altri, e che l’Alleanza popolare che abbiamo formato con il Mhp (il partito nazionalista turco ndr) ha circa il 52 per cento dei voti”. Consapevole di non aver saputo trascinare gli elettori come in passato, il presidente ha anche fatto un accenno di autocritica: “Da domattina, cominceremo a correggere i nostri errori”. Molti turchi, non va dimenticato, non hanno abbandonato il sultano alle urne stanchi della sua politica: è lo stato dell’economia che ha spinto gli elettori a mandare un segnale ai dirigenti del paese.

La disoccupazione al 12 per cento, l’inflazione sopra al 20 per cento, la lira in caduta libera sui mercati valutari con conseguenti fallimenti a catena nell’edilizia, già motore della crescita turca, hanno messo in ginocchio molte famiglie e imprese turche. Nelle ultime settimane il governo ha fatto anche allestire bancarelle alimentari con prezzi calmierati a vantaggio delle fasce più povere

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