Theresa May (foto LaPresse)

I quattro no di Westminster

Gregorio Sorgi

Ogni alternativa alla Brexit è stata bocciata (ancora una volta) ma i margini di sconfitta sono sempre più ridotti. Oggi Theresa May decide i prossimi passi

Il Parlamento britannico boccia tutte le alternative al piano di Theresa May sulla Brexit, aumentando le possibilità di un’elezione anticipata. Oggi la premier terrà un Consiglio dei ministri di cinque ore, in cui dovrà indicare la strada per i prossimi mesi. Il Regno Unito dovrà chiedere una proroga all’Unione europea entro il 12 aprile, altrimenti uscirà senza accordo. Londra dovrà giustificare la richiesta di una moratoria, spiegando cosa intende fare nei prossimi mesi per sbloccare l’impasse. Inoltre, non è escluso che la premier decida di portare il suo accordo in Parlamento per la quarta volta. Il Sun scrive che la premier potrebbe fare votare la sua intesa e la mozione sull’unione doganale per vedere cosa riceve più voti dai deputati. A quel punto, se il suo accordo fosse sconfitto, potrebbe sostenere una soft Brexit, un’opzione a cui gran parte dei conservatori sono ostili. 

 

Il Parlamento ieri sera ha affossato tutte le alternative al piano di uscita della premier, bocciato a sua volta venerdì scorso con uno scarto di 58 voti. La procedura degli “indicative votes” dei Comuni era stata disegnata per offrire alla May un piano alternativo per uscire dall’Unione europea, ma ancora una volta non è emersa una maggioranza. La proposta del deputato conservatore Ken Clarke, secondo cui la Gran Bretagna dovrebbe continuare a fare parte dell’unione doganale, è stata respinta per soli tre voti (276 contro e 273 a favore) e nove membri del governo hanno votato a favore (la May aveva lasciato libertà di coscienza). L’emendamento sostenuto dai laburisti per convocare un secondo referendum è stato bocciato con uno scarto di 12 voti (l’ultima vola furono 27). L’opzione per rimanere all’interno del mercato unico è stata respinta con uno scarto di 21 voti. Il deputato conservatore Nick Boles, uno dei fautori di quest’ultima ipotesi, ieri si è dimesso dal suo gruppo parlamentare perché non “vuole più sedersi tra le fila di un partito che non sa fare compromessi”. Ieri alcuni sostenitori del secondo referendum, sia laburisti che conservatori, hanno votato contro la mozione sull’unione doganale perché indisposti a fare anche la minima concessione. 

 

Il Parlamento si è avvicinato a una soluzione condivisa sulla Brexit rispetto al primo round di “indicative votes” la scorsa settimana, e manca poco per trovare una maggioranza. Domani i parlamentari si esprimeranno per la terza volta sulle alternative al piano May, ma nel frattempo la premier annuncerà la sua strategia per sbloccare l’impasse. L’opzione più accreditata è quella di convocare elezioni anticipate, che servirebbero a prendere tempo e a tutelare gli equilibri interni di un governo profondamente diviso. Ieri 170 deputati conservatori, tra cui 30 membri del governo di cui 11 ministri, hanno inviato una lettera alla May chiedendole di uscire senza accordo. L’altra metà del governo è apertamente a favore della soft Brexit, e ha minacciato di dimettersi in caso di no deal. Una decisione netta da parte della May, che sia il no deal o la soft Brexit, potrebbe innescare una crisi di governo. La scelta di andare a elezioni anticipate non entusiasma nessuno - i conservatori temono una vittoria di Jeremy Corbyn alle urne - ma per la May questo sarebbe un buon compromesso per giustificare la richiesta di una proroga all’Unione europea senza dividere il suo governo.  

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