A sinistra il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, a destra il premier ungherese Viktor Orbán (foto LaPresse)

Perché non c'è e non ci sarà un'alleanza sovranista europea, ci dice Guetta

Micol Flammini

Un viaggio dall’Ungheria all’Italia per vedere da vicino la mancata collaborazione dei leader nazionalisti

Roma. I partiti politici populisti e sovranisti sono stati in grado di prosperare sulle rotture, sugli istinti tristi, sulle passioni rancorose, ma dopo aver creato il caos, manca loro slancio, mancano le soluzioni e restano gli smarrimenti. Sono frammentari e divisi, e a livello europeo per loro natura non sono in grado di creare una corrente. E’ per questo che i linguaggi populisti e nazionalisti si adattano bene all’opposizione o a uno stato di campagna elettorale permanente, ma mai al governo. Questo tema ricorre in un viaggio che poi è diventato un libro dal titolo “I sovranisti” (Add editore). Viaggiatore e autore è Bernard Guetta, giornalista, ex corrispondente del Monde a Vienna, Varsavia, Mosca e Washington, oggi editorialista per diverse testate. Il 16 agosto dello scorso anno è partito per Budapest, dall’Ungheria è andato in Polonia, poi in Austria e infine in Italia e ha scoperto che non ci sono nazionalismi la cui origine non si trovi nella storia. Sono fenomeni da guardare, da studiare, ma forse con meno ansia e con meno apprensione perché l’ondata sovranista non ci sarà: i sovranisti rimangono forti ma non avanzano, soprattutto non avanzano insieme. “I partiti nazionalisti hanno beneficiato del crollo dei partiti tradizionali – dice al Foglio Guetta – di destra e di sinistra. Non sono stati i nazionalisti a distruggere la destra e la sinistra, ma sono venuti fuori dall’autodistruzione della destra e della sinistra. E’ un discorso che non vale soltanto con i populisti, anche Emmanuel Macron è venuto fuori da quella rottura”. L’Italia per ora rimane un sistema a parte, che sta conoscendo l’esperienza di un governo estremista bicolore, nato da poco più di un anno, ma nei paesi in cui tutto è incominciato, dall’est, i nazionalisti rimangono stabili ma non sono in grado di progredire.

  

 

Viktor Orbán non riesce mai ad arrivare al 50 per cento, il PiS che governa la Polonia anche non avanza, forse vincerà anche il voto autunnale delle parlamentari, ma lo farà perdendo consensi rispetto al 2015. Fermi, immobili, rimangono influenti a livello nazionale, ma uniti, alleati appaiono scoordinati, difformi, sconnessi. Il problema sta nella loro stessa essenza, in quel nome “nazionalisti”. “Il progetto europeo si realizza collaborando, cercando delle soluzioni comuni, pensando a dei valori che vanno oltre quelli nazionali. Basta un esempio per capire che non possono essere forti unendosi. Il governo italiano chiede che gli altri paesi europei prendano la loro parte di migranti e rifugiati che arrivano sul territorio italiano. Non sarà di certo Orbán, o il PiS, nemmeno la coalizione austriaca ad andare incontro agli interessi italiani. Ancora un esempio, Orbán si è pronunciato a favore di un esercito europeo comune, i polacchi non ne hanno intenzione, temono che se gli europei si doteranno di un esercito l’ombrello americano, già chiuso a metà, si chiuderà del tutto. Gli esempi sono tanti, tantissimi”, dice Guetta. Le soluzioni comuni si trovano andando oltre gli egoismi nazionali, responsabili dei conflitti, delle guerre civili che hanno dominato l’Europa nei secoli passati e la grandezza, l’importanza dell’Unione europea è in questo, nella necessità di trovare un racconto una causa comune.

  

“I partiti più eurofobici che reclamavano la necessità di lasciare l’Europa, la definivano ‘la prigione dei popoli’, ora non ne parlano più, hanno cambiato il loro discorso. Non lo ammetteranno mai ma dipende dalla Brexit e dal suo assoluto insuccesso, la catastrofe alla quale gli eurofobici britannici hanno condotto la Gran Bretagna”. Tra i populisti, che non pronunciano più la parola exit, è tutto un parlare di riforme, non vogliono più abbandonare la “prigione dei popoli”, che è più comoda del solipsismo al quale si sta condannando Londra, testardamente impigliata nel rischio di uscire senza un deal. “I sovranisti sono passati dal predicare l’impossibilità di cambiare l’Europa, all’urlare la necessità di rivoluzionarla. Ma non sono stati loro i primi a parlare di riforme, tutti gli europeisti, ormai da tempo, sentivano questa necessità”. I socialdemocratici continuano a ripetere che bisogna sviluppare la dimensione sociale nei trattati, i liberali si battono per una maggior liberalizzazione dell’economia a livello comunitario, i federalisti vedono la creazione di un’Europa sul modello federale come una necessità. “Come in tutte le democrazie ci sono delle correnti e l’Unione europea non fa eccezione, ci sono correnti che propongono cambiamenti, riforme, i nazionalisti non hanno inventato nulla e non sono stati di certo i primi a sentire la necessità di riformare l’Unione”.

 

Torniamo alle quattro nazioni che Bernard Guetta ha attraversato per raccontare i nazionalismi e loro popoli. All’Ungheria di Viktor Orbán, alla Polonia di Jaroslaw Kaczynski, all’Austria di Sebastian Kurz, scivolando fino all’Italia gialloverde. Tutto è iniziato in Ungheria e come scrive Guetta non esistono fenomeni politici che non abbiano le loro radici nella storia, nella tradizione. “Non è stato Orbán a inventare il modello illiberale, l’esempio che lui segue si trova un po’ più a est, in Russia. Vladimir Putin dice di essere democratico, ma insiste sulla necessità di una democrazia che funzioni e con questa scusa ha imposto la soppressione di tutte le libertà fondamentali. Orbán ha importato il putinismo in Unione europea”. Ma non ovunque in Europa il nazionalismo può dirsi figlio della Russia. Sicuramente non in Polonia. “In Ungheria dopo la rivolta del 1956 gli ungheresi avevano un gran bisogno di tranquillità politica, istituzionale, sociale. In Polonia tutto era diverso, l’opposizione al comunismo ha avuto un forte seguito a livello popolare durato anni”, dice Guetta. Sarebbe impossibile per il PiS imporre quelle riforme che Fidesz, il partito di Orbán, ha imposto in Ungheria. “In Polonia la stampa è libera, i polacchi scendono in piazza a protestare, c’è un’opposizione che reagisce, è vitale. In Ungheria l’opposizione non c’è, ogni tanto riemerge in contesti locali”. La tradizione che ridisegna il presente di tutti noi, ha anche creato la situazione per cui in Polonia c’è un’opposizione vigorosa che in Ungheria manca, fa sì che la democrazia stia meglio a Varsavia che a Budapest: “I polacchi credono che lottando le cose possano cambiare, questa convinzione gli ungheresi l’hanno perduta nel 1956”.

 

Ci sono tuttavia caratteristiche comuni che collegano tutti i nazionalismi, uno è la religione, un concetto rivisto, spogliato del suo significato originale: “L’Ungheria è un paese scristianizzato, quasi quanto la Francia, ma Orbán ha fatto del cristianesimo un concetto identitario, uno strumento di lotta politica che ha poco a che vedere con il credo”. Il cristianesimo, inteso come identità cristiana, arricchisce la retorica di molte battaglie populiste, da quella contro l’immigrazione, a quella contro l’aborto. Ci sono valori, idee sulle quali l’Europa sembra costantemente in bilico, battaglie che i nazionalisti chiamano identitarie e che sembrano creare una profonda spaccatura. “L’aborto, il matrimonio omosessuale e l’immigrazione sono temi fondamentali nel dibattito europeo, ma non dividono soltanto l’Europa nazionalista da quella non nazionalista, ad esempio il PiS vuole rendere ancora più restrittiva la legge sull’aborto, mentre Fidesz non ha intenzione anche perché si troverebbe tutta l’Ungheria in piazza. I matrimoni gay sono stati difficili da accettare anche per parte della società francese, l’est si sta aprendo e la Polonia, cosa impensabile fino a cinque anni fa, ha un politico che dice apertamente di essere omosessuale e guida un movimento di successo”.

 

L’Europa è divisa in correnti, i conservatori hanno una loro linea, una loro idea di Europa, come l’hanno i socialdemocratici o i liberali. Questa unità manca ai sovranisti che non costituiscono un fronte compatto. Nel suo viaggio Guetta ha attraversato l’Austria, governata da una coalizione che comprende il Partito popolare del cancelliere Sebastian Kurz e l’estrema destra, la FpÖ. “Kurz è un personaggio inintelligibile, qualcuno sostiene che Kurz abbia stretto questa alleanza per dominare la FpÖ, qualcuno invece sostiene che la sua destra sia molto simile a quella estrema. Capire chi sia Sebastian Kurz è una domanda da dieci milioni di dollari, forse non lo sa nemmeno lui”.

 

E siamo arrivati in Italia, l’ultima tappa del viaggio di Bernard Guetta. La più a occidente di tutte le nazioni governate dai nazionalisti. “L’Italia credo sia tra le nazioni che più hanno sofferto del fallimento della destra e della sinistra, della Democrazia cristiana e dei socialisti. Da questa rottura sono venute fuori nuove forme politiche: il Movimento 5 stelle, che ha cercato di occupare il posto della sinistra, e la piccola Lega nord che si è trasformata nella grande Lega nazionale occupando lo spazio della destra. Non credo in questa coalizione, Matteo Salvini attenderà di crescere ancora nei sondaggi e credo che deciderà di rompere per formare poi un governo omogeneo”. Ma l’Italia si affaccerà all’Europa che verrà dopo le elezioni con più fragilità. Qualsiasi sarà il colore della futura Commissione non sarà buona né accondiscendente. Se vincono i moderati, non saranno disposti ad assecondare i capricci e le impreparazioni gialloverdi come ha fatto Jean-Claude Juncker, se invece dovessero vincere i nazionalisti, la loro inaffidabilità rappresenta un rischio anche per il governo italiano. Alla fine di questo viaggio, Bernard Guetta fa capire che il sovranismo non è una delle correnti che percorrono il Parlamento europeo, è rigato e frammentato, è isolato e arroccato. Ognuno su stesso. Il sovranismo non è una visione e per questo forse la presa dell’Europa, dove si agisce uniti, non gli riuscirà.

 

“L’Unione europea ci sarà sempre. Tra qualche anno dovremo dibattere di temi importanti come la difesa o la cooperazione industriale, queste saranno le nuove sfide, ma non ci sarà nessun crollo. Credo – dice Bernard Guetta lasciandoci scivolare nelle speranze e nei pronostici – che ci sarà molta più unità di quanto possiamo immaginare oggi. Rimane aperta la grande domanda, che fine faranno le formazioni politiche, se assisteremo al ritorno del bipolarismo o se vedremo la moltiplicazione dei partiti centristi. La risposta, forse, ce la daranno le elezioni europee”.